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Norberto Ferretti: «La mia vita, sempre al timone»

Norberto Ferretti: «La mia vita, 
sempre al timone»

Nella sua carriera ha costruito 4.950 yacht, ha vinto il mondiale di Offshore e creato, con il fratello Alessandro, l’omonimo gruppo. Che, negli anni, è diventato uno dei più importanti al mondo acquisendo marchi di culto come Itama, Pershing, Riva, Apreamare, Mochi Craft, Custom Line e Crn. A Panorama, l’uomo che ha scritto la storia della nautica racconta i suoi aneddoti più segreti.


T-shirt nera, impolverata dal «refitting» di una imbarcazione d’altura Bertram e infilata distrattamente in un paio di jeans tenuti su da una cintura Hermès. Scarpe da tennis, occhiali da vista fotocromatici e sigaro incastrato tra le dita.

Norberto Ferretti, un metro e 84 d’uomo, all’appuntamento con Panorama si è presentato così. Uno come lui non ha bisogno di lustrare l’argenteria quando arrivano gli ospiti. Le chiacchiere, giustappunto, iniziano in una trattoria, davanti a tortelli al ragù impiattati alla buona, accompagnati da Sangiovese della casa, che lui chiede «freddo, per favore».

Chi se ne importa dei cliché e delle stelle quando si ha di fronte un uomo che, come pochissimi altri, ha scritto la storia della nautica italiana? Che nei suoi 40 anni e più di carriera ha costruito 4 mila e 950 barche? Fondatore del Gruppo Ferretti, Cavaliere del Lavoro, una laurea honoris causa in Ingegneria navale e una lista infinita di altri riconoscimenti, Norberto, con la e strettissima, come lo chiamano i suoi conterranei emiliani, 76 primavere lo scorso 10 maggio, la parola «pensione» non sa nemmeno come si scriva. Nel 2021, a Misano Adriatico, ha inaugurato il suo Museum NF Refitting: un capannone spartano con dentro una vita, anzi cento, anzi mille.

«Mi domando ancora perché io l’abbia fatto. Non lo so. Oltretutto le parole museo e refitting insieme sono un controsenso» ammette. Sfugge al Signore dei mari una probabile lettura. Senza scomodare Freud, forse la realizzazione della parte museale dipende dal sacrosanto desiderio di cristallizzare una grandezza inconfutabile, mentre l’area dedicata al refitting di barche rappresenta semplicemente il suo habitat naturale, il luogo in cui testa e cuore pensano e battono all’unisono. «Restauro solo imbarcazioni di mia proprietà. Per conto terzi non se ne parla. Non ho più voglia di farmi condizionare da numeri e scadenze. Vede questo? È un Bertram 28. Tra qualche mese sarà finito e sarà il Bertram 28 più bello al mondo. Lo scriva».

Bertram, è giusto ricordarlo, è stato, oltre a Ferretti Yachts, uno dei marchi che «il Norby» (lo chiama così il suo storico braccio destro, Domenico Pirazzoli) ha acquisito negli anni insieme a Itama, Pershing, Riva, Apreamare, Mochi Craft, Custom Line e CRN. Nomi pesanti con Dna diversi, seguiti e nutriti come figli. «Guardi questa foto. È il mio elicottero. Non è appeso al muro perché è roba da ricchi. Mi serviva per visitare i cantieri sparsi per l’Italia in un giorno. Partivo la mattina da Cattolica, arrivavo a Sarnico, poi La Spezia, Forlì, Marotta, Ancona e rientravo la sera. L’indomani, ancora. Sa qual è la cosa bella? Nonostante le difficoltà che talvolta si sono presentate, non mi sono accorto del tempo che è passato. Ho sempre fatto, da quando sono nato, quello che ho voluto, divertendomi».

Non si fatica a credergli. Nel museo ci sono immagini di centinaia di barche costruite con e senza architetti, auto d’epoca, motociclette, biciclette, i modellini delle auto che ha posseduto, 68 in 58 anni, e altre diavolerie che solo un visionario, innamorato dei meccanismi che fanno funzionare le cose (e la vita), può conservare. Ci sono anche manoscritti del padre Otello. Quel padre a cui «a 16 anni confessai di voler abbandonare gli studi. Non si arrabbiò. Disse: “Domattina presentati in officina” (Otello aveva una concessionaria automobilistica, ndr)». È proprio infilando le mani tra carburatori e turbine che Norberto ha capito di avere un dono: l’intuito, affilato come una katana giapponese. Un intuito che lo ha portato lontano e gli ha permesso di fare cose impossibili. Come imbarcare un Ferretti 165, 18 metri di yacht, dentro un aereo Antonov per farlo recapitare all’allora presidente dell’Uzbekistan, Islom Karimov.

«Era il ’95, l’ultimo tratto, impraticabile anche per l’aereo, la barca lo ha fatto trainata da un carro armato» ricorda. E che dire di quella volta che ha rischiato grosso per salvare un Riva Opera? «Sono in navigazione verso Genova. Sento una vibrazione. Il comandante mi dice: “Entra acqua da un buco di 90 centimetri”. Scendo in sala macchine, il disastro. Apro i pescaggi di emergenza, chiedo degli asciugamani per tamponare, ma la pressione porta via tutto. Che faccio? Infilo il braccio nel buco e l’acqua smette di entrare».

Le foto della disavventura mostrano lividi e bruciature spaventose. «Il comandante voleva lanciare il mayday. «Gli dissi: “No! Abbiamo appena comprato la Riva, domani siamo sul giornale, vedo già il titolo “Ferretti affonda con il primo Riva varato”». Uno come Norberto non affonda. Mai. L’abisso lo ha visto, certo, ma non per gli affari. Nell’estate del ’95 è mancato prematuramente il fratello. «Alessandro era l’anima commerciale del gruppo. Eravamo diversi in tutto, eppure era la mia metà perfetta». Norberto negli anni d’oro della nautica, durante le fiere, era solito infilare nel taschino della giacca i contratti firmati dagli armatori: «Dal ’75 al ’90 “Sandro” e io abbiamo venduto 564 barche». Lo ricorda facendo intendere che i soldi c’entrano poco o niente. All’altezza del cuore, Norberto ci metteva l’amore per quel fratello così prezioso. Be’, è ancora tutto lì. Al sicuro, sotto la t-shirt nera.

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