Home » Attualità » Esteri » Iran, licenza di uccidere

Iran, licenza di uccidere

Iran, licenza di uccidere

Tra bombe e pugnali, dietro il recente attentato a Salman Rushdie e il tentativo di uccidere un altro dissidente, ci sarebbe l’impronta del Vevak, il «servizio segreto esterno» di Teheran, specializzato in rapimenti e omicidi di oppositori del regime in patria e all’estero. Una lunga scia di sangue resa possibile grazie a una struttura di decine di migliaia di operativi e «quinte colonne».


Lo scorso 21 agosto la polizia di Stoccolma ha disinnescato una valigia piena di esplosivo che sarebbe dovuta detonare durante l’ultima serata del Festival della cultura, organizzata nel parco Kungsträdgården della capitale svedese. Obiettivo: il cantante e dissidente iraniano Ebrahim Hamedi, in arte Ebi. Se la polizia non avesse ricevuto una soffiata all’ultimo momento, ci sarebbe stata una strage visto che la bomba era stata collocata sotto al palco, vicino al pubblico che assisteva al concerto. L’attentato segue di due settimane quello ai danni dello scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, sopravvissuto lo scorso 13 agosto all’accoltellamento da parte del ventiquattrenne libanese Hadi Matar a Chautauqua, nello Stato di New York.

Se Rushdie è reo di aver scritto I versi satanici, romanzo considerato contro l’Islam dagli ayatollah, Ebrahim Hamedi è colpevole solo di aver disobbedito a un precetto della rivoluzione islamica: ha proseguito la sua carriera di cantante pop, nonostante il regime iraniano proibisca ogni musica non sacra. Per questo motivo, come Rushdie pure lui ha ricevuto una fatwa, ossia nella vulgata una condanna a morte per sacrilegio. «Anche se la musica è halal (pura secondo la legge islamica, ndr) la sua promozione e insegnamento non sono compatibili con i valori più alti del regime sacro della Repubblica islamica» ha ribadito più volte il leader supremo iraniano, Ali Khamenei, seguendo una tradizione iniziata nel 1979 dal leader della rivoluzione Khomeini e inasprita per legge dall’ex presidente Mahmud Ahmadinejad. Perciò, chiunque la pratichi in Iran è contro il regime, e va punito.

Consapevole delle possibili conseguenze fatali, Hamedi è stato costretto a fuggire in California, dove ha proseguito liberamente la sua carriera, portando la sua musica in tutto il mondo. Ebi è ormai da molti anni una star internazionale e uno dei più importanti rappresentanti della musica pop persiana. Ma proprio per questo si è attirato le ire del governo degli ayatollah, che lo considera da sempre uno sponsor degli «infedeli» che hanno rinnegato la via della rivoluzione islamica.

Se il mandante va dunque cercato a Teheran, chi può aver materialmente pianificato un attentato contro di lui in Europa? Dietro a tutto vi sarebbe la mano della Vevak (Vezarat-e Ettela’at va Amniat-e Keshvar), il ministero delle Informazioni e della sicurezza nazionale iraniano. In breve, il servizio segreto esterno iraniano. È la stessa organizzazione d’intelligence che avrebbe armato la mano di Hadi Matar per assassinare Salman Rushdie.

La Vevak, infatti, è specializzata in rapimenti e omicidi di oppositori del regime in patria e all’estero: circondata da un’aura di mistero, conterebbe in tutto fino a 30 mila operativi e una rete di soggetti informali capaci di fornire logistica, strumenti e capitale umano per portare a termine le fatwa del regime. Nel caso di Rushdie, l’attentatore originario del sud del Libano avrebbe ricevuto istruzioni dopo un viaggio in Medio Oriente nel 2018, secondo i racconti della famiglia. Ovviamente, il regime di Teheran si è precipitato a smentire qualsiasi responsabilità attraverso il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, che tuttavia ha dichiarato: «Nessuno ha il diritto di accusare la Repubblica Islamica dell’Iran per un attacco in cui gli unici responsabili sono Salman Rushdie e i suoi sostenitori: insultando gli argomenti sacri dell’Islam ha attraversato un confine invalicabile e provocato la rabbia e la furia di un miliardo e mezzo di persone». Quanto accaduto a Ebrahim Hamedi, invece, sarebbe frutto di un cambio di strategia della Vevak, dopo il grande clamore suscitato dall’accoltellamento dello scrittore e le accuse piovute sull’intelligence iraniana. L’operazione sarebbe stata in questo caso ancor più «raffinata», non volendo sfruttare una risorsa umana dalla quale si potrebbe facilmente risalire ai mandanti in Iran, se catturata e interrogata.

Il ministero della Sicurezza è subordinato al Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale e ha tradizionalmente operato sotto la guida diretta della Guida Suprema, da cui dipende il comando, così come accade per le Guardie della Rivoluzione, ossia i «pretoriani» dell’ayatollah: un organo che, disponendo di unità civili e militari (Pasdaran), si sovrappone alle stesse forze armate iraniane. Ufficialmente la Vevak è costituita come polizia segreta e dispone di un budget significativo per svolgere i numerosi compiti assegnati, spesso svolti in stretta collaborazione con la magistratura: tra questi, i principali sono monitorare i dissidenti politici, sociali, etnici e religiosi, sia all’estero che in patria, per smantellare l’eventuale creazione di gruppi ostili ed evitare qualsiasi accenno di movimento controrivoluzionaro ai danni della Repubblica islamica.

Il ministero è stato fondato il 18 agosto 1984 ed è il successore della Savak, il servizio segreto della dinastia Pahlavi, che operò sotto le insegne imperiali dal 1957 e fino al 1979, anno della rivoluzione. Dalla sua fondazione, il Vevak avrebbe ucciso e rapito centinaia di persone in tutto il mondo, Italia compresa, e dal febbraio 2017 i suoi poteri e le responsabilità nell’intelligence estera sono stati ampliati.

In Italia, la Vevak è nota dal 1993, quando a Roma i suoi sicari assassinarono Mohammed Naghdi, esponente del Mek. Secondo l’osservatorio Ofcs Report, sarebbero numerosi i tentativi del Vevak di arruolamento di collaboratori «italiani convertiti all’Islam sciita e transfughi, per lo più, di movimenti extraparlamentari di destra e sinistra. Sono molti quelli che hanno rapporti diretti con la legazione iraniana a Roma». La Vevak userebbe il nostro Paese come base per trasmettere istruzioni o finanziamenti a Hezbollah in Libano.

Nel dicembre 2015, invece, agenti del Vevak hanno ucciso in Olanda Mohammad Reza Kolahi Samadi, un membro del Mek (il partito dei mujaheddin che vorrebbe sostituire gli ayatollah al potere) sospettato di aver bombardato la sede del Partito della Repubblica Islamica nel 1981. Nell’aprile 2017, poi, hanno freddato a Istanbul Saeed Karimian, proprietario di un canale televisivo satellitare non in linea con il regime. Mentre nel 2018, l’Fbi ha arrestato un gruppo di cittadini con doppia cittadinanza statunitense-iraniana, accusati di monitorare segretamente centri ebraici e gruppi di oppositori del regime. Nello stesso anno, un agente del Vevak che agiva sotto le spoglie di un diplomatico iraniano, è stato fermato nel tentativo di piazzare una bomba in una manifestazione del Mek a Parigi. Infine, nel novembre 2019, hanno assassinato Masoud Molavi Vardanjani, ex funzionario dell’agenzia che aveva disertato ed era fuggito in Turchia.

Quanto ai rapimenti, nel luglio 2020 la Vevak ha catturato il dissidente Jamshid Sharmahd a Dubai e tre mesi dopo, in Turchia, anche Habib Chaab, un leader separatista di etnia araba iraniana. Mentre nell’ottobre 2019 è stato il turno di Ruhollah Zam, un giornalista iraniano espatriato in Iraq, poi giustiziato in Iran con l’accusa di spionaggio. Clamoroso anche il tentativo di rapire, nel luglio 2021 a New York, la giornalista e attivista per i diritti umani Masih Alinejad: era fuggita dall’Iran nel 2009 dopo la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, la cui stretta repressiva sulla stampa l’avrebbe condotta in carcere. Nel suo caso, l’Fbi ha intercettato i movimenti sospetti di quattro iraniani membri del Vevak, che avevano messo in piedi un maldestro sistema di spionaggio della giornalista e della sua famiglia a Brooklyn: per riportarla in patria, hanno ingaggiato investigatori privati e cercato di procurarsi un motoscafo di tipo militare per una possibile fuga via mare da New York in Venezuela, Paese amico del regime di Teheran. Ma sono stati scoperti.

Anche in ragione dei risultati discutibili e dei metodi non certo ortodossi, il presidente iraniano Ebrahim Raisi, in carica dal 3 agosto 2021, ha iniziato a ristrutturare questo e gli altri (16) servizi di intelligence e sicurezza iraniani, per le loro eccessive sovrapposizioni di ruolo in tempo di pace e guerra. La prima mossa è stata licenziare Mahmoud Alavi, alla testa del Vevak dal 2013, nominando al suo posto il fedelissimo Esmaeil Khatib. Vedremo presto se arriveranno concreti cambiamenti.

© Riproduzione Riservata