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In Iraq riaprono le chiese

In Iraq riaprono le chiese

Migliaia di cristiani stanno tornando in Iraq, nelle terre distrutte dall’Isis (da dove, dieci anni fa, erano fuggiti in 120 mila). Così aprono nuovi luoghi di culto e fioriscono speranze di vita e lavoro, come raccontano a Panorama le testimonianze di chi, grazie alla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, è rientrato nella piana di Ninive.


«Siamo tornati nelle nostre città, che erano distrutte e senza vita. Ci siamo concentrati sulla ricostruzione. Negli ultimi anni la polvere nera è stata spazzata via» dice con orgoglio il poeta cristiano, Namroud Kasha, riferendosi alle distruzioni provocate dal Califfato. L’intellettuale cristiano è tornato, come migliaia di famiglie, nella piana di Ninive a nord di Mosul, la terza città dell’Iraq, che le bandiere nere avevano occupato e saccheggiato nel 2014 costringendo alla fuga 120 mila anime fedeli a Gesù. Dieci anni dopo, nonostante le difficoltà e nuove minacce, oltre novemila famiglie sono tornate a casa dopo l’inferno, rispetto alle 20 mila iniziali. E altre stanno arrivando grazie alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). Dalla piana di Ninive i nuovi dati aggiornati fanno salire al 48 per cento la percentuale dei rientri: 6.100 famiglie a Qaraqosh, il cuore della presenza cristiana, altre 1.780 a Bartella, che era stata distrutta dall’Isis, fra cattolici e ortodossi.

Quest’anno ha aperto un nuovo convento di suore domenicane a Batnaya. All’inaugurazione l’arcivescovo Thabet ha dichiarato: «Non stiamo solo ricostruendo pietre, ma stiamo ripristinando l’umanità. Le monache possono trasformare il deserto in Paradiso». E si è appellato direttamente ai cristiani fuggiti davanti alla persecuzione jihadista: «La vostra identità è a Batnaya, le vostre radici sono qui, non nei luoghi dell’emigrazione!». Nel 2003, quando gli americani invasero l’Iraq, i cristiani erano un milione e 400 mila. Oggi sono ridotti a 250 mila nella culla della cristianità in Medio Oriente. La buona notizia è che la piana di Ninive continua a rinascere e le famiglie fanno ritorno nelle loro case. Proprio a Batnaya, i primi cristiani sono stati Faris Hanna Naamo con sua moglie e i loro tre bambini. «Non c’era elettricità, acqua corrente e nessun vicino. Eravamo soli» racconta la coppia. «Anche una cosa semplice come fare la spesa era rischioso. Dovevamo percorrere cinque chilometri e superare i posti di blocco dell’esercito. Nour, nostra figlia più piccola, non aveva amici e girava tutto il giorno in bicicletta per le strade deserte fra le rovine».

La famiglia cristiana ha resistito e migliaia di altre sono seguite nel puzzle di villaggi della piana di Ninive. La storica visita del Papa del 2021 ha ridato forza e speranza. Solo nella pianura cristiana erano state completamente distrutte, date alle fiamme o danneggiate 14.396 abitazioni e oltre 363 chiese. Dal 2011 al 2020 Acs international ha stanziato quasi 50 milioni di euro per i cristiani in Iraq. La costola italiana della fondazione pontificia ha finanziato la ricostruzione di 2.086 case nella piana di Ninive con 6.431.308 euro. Il fiore all’occhiello è la rinascita della cattedrale di Qaraqosh, la più grande chiesa siro cattolica del Medio Oriente, data alla fiamme dall’Isis, che usava il cortile come poligono. «Le sfide oggi per i cristiani sono due e strettamente interconnesse. Garantire la sicurezza da un lato e una prospettiva occupazionale dall’altro in modo particolare ai più giovani» spiega Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia. «Molti dei miliziani dell’Isis sono ancora lì pur in una condizione di clandestinità. Il timore è che possano riorganizzarsi con un aiuto straniero».

Il 69 per cento dei cristiani fugge dall’Iraq per i timori sulla sicurezza e l’instabilità politica. Nella piana di Ninive, dopo la sconfitta del Califfato, sono arrivati gli sciiti, che occupano i villaggi cristiani e inneggiano agli ayatollah del vicino Iran. Per Teheran l’area è strategica: fa parte del corridoio che arriva, via Siria e Libano fino al mar Mediterraneo. Monteduro lancia l’allarme: «Ciò che oggi maggiormente preoccupa è il comportamento delle milizie sciite sostenute dall’Iran. Da liberatori dal sedicente Stato Islamico sono protagoniste di continue richieste – estorsive e corruttive – con palesi violazioni dei diritti umani». I cristiani, che hanno messo radici nel contiguo Kurdistan iracheno, temono anche gli interventi turchi nel nord dell’Iraq contro i militanti legati al Pkk. Dal 2020 almeno 25 villaggi sono stati svuotati a causa delle incursioni turche. Malik Kadifa, che vive a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, aveva restaurato una statua della Madonna mutilata dall’Isis, per la visita del Papa. Ingegnere cristiano è il pronipote «di una famiglia scappata dalla Turchia a causa del genocidio armeno del 1921». Paffuto e di buon carattere, si emoziona quando ricorda il comandamento del nonno sfuggito ai turchi: «Ci disse di non abbandonare queste terre cristiane. Di rimanere qui».

L’arcivescovo di Erbil, Bashar Matti Warda conferma che «i cristiani stanno tornando» dopo l’Isis e il grande esodo. L’incremento è favorito non solo dagli spostamenti interni, ma soprattutto dai rientri dall’estero. «Questo ha portato la popolazione cristiana di Erbil a oltre ottomila famiglie. Vogliono crescere i loro figli in un ambiente veramente cattolico» ha spiegato il prelato. La diocesi conta oggi un ospedale e cinque nuove scuole per un totale di 18 istituti, compresa l’università che ha stretto collaborazioni con gli atenei americani. Chi era scappato si era rifugiato soprattutto in Canada, Australia, Stati Uniti e Germania. Monteduro sottolinea un altro paradosso: «Ci sono voluti anni perché le società occidentali si mobilitassero. Anche nei momenti più drammatici, quelli della cacciata dei cristiani dalla piana di Ninive, i sostegni istituzionali furono nella migliore delle ipotesi risibili». L’esodo e la strada dell’emigrazione sono così diventate scelte obbligate. «Oggi, con Ungheria e Polonia in testa, altre nazioni hanno deciso di stanziare aiuti economici per le comunità cristiane perseguitate in Medio Oriente» continua il direttore di Acs. «Penso alla Germania, all’Austria ma anche all’Italia. Il governo con la Cooperazione internazionale ha rinnovato un bando da oltre 10 milioni di euro per finanziare interventi a favore delle minoranze cristiane dalla Siria all’Iraq, dalla Nigeria al Pakistan».

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha nominato il 15 giugno, Davide Dionisi inviato speciale per la promozione della libertà religiosa. In Siria, a differenza dell’Iraq, non si vede ancora un ritorno delle comunità di fedeli colpite pure dal recente terremoto che ha devastato le aree confinarie della Turchia. Ad Aleppo, città con una storica presenza cristiana, «la popolazione continua a diminuire a un ritmo più veloce rispetto alla maggior parte delle altre province siriane» conferma uno dei referenti di Acs. I cristiani sarebbero ormai soltanto a 20 mila. «Il Paese, economicamente parlando, è come se fosse ancora sotto le bombe» osserva Monteduro. «Gli effetti delle radicali sanzioni economiche sono sostanzialmente gli stessi del periodo peggiore del conflitto. Si può chiedere a qualcuno di tornare senza avere la possibilità di sopravvivere?».

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