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Le origini e le ragioni del braccio di ferro nel mar cinese meridionale. Non solo una questione Cina-Usa

Le origini e le ragioni del braccio di ferro nel mar cinese meridionale. Non solo una questione Cina-Usa

Altro che isolette senza importanza, le isole Paracel e Spratyl sono ormai catene di atolli armati che ospitano basi militari alle quali nessuno vuole rinunciare. Dopo le scaramucce diplomatiche tra Usa e Cina per il passaggio di unità navali nel canale di Taiwan non si abbassa la tensione nel mare cinese meridionale.


Ad alimentare questa situazione è la disputa tra diverse nazioni per il controllo degli arcipelaghi Paracel e Spratlys, una settantina tra isolette e atolli, quindi anche lembi di terra non perennemente affioranti, da sempre anche negli interessi di Filippine, Malesia, Vietnam e ovviamente Taiwan. Soltanto che al posto di essere isole disabitate oppure abitate da pescatori, questi luoghi sono oggi diventati fortini armati nonostante siano caratterizzati da un clima troppo caldo, umido e foriero della formazione di violenti tifoni. Caratteristiche che rendono complicato viverci ma anche mantenere efficienti i sistemi d’arma che vi vengono installati, e quasi impossibile conservare aeromobili pronti per un impiego a difesa (o attacco) dei territori rivendicati.

Pechino ha sempre reclamato la territorialità cinese delle isole Spratlys e Paracel poiché dal punto di vista geografico le considera come proprie appendici, e quindi un confine da proteggere nei confronti di tutte le nazioni presenti verso sud. Tanto che, a metà degli anni Settanta, ci furono anche scontri armati tra le truppe cinesi e quelle del Vietnam del sud con la vittoria delle prime ma senza mai ammissione di cedere sovranità d parte degli avversari. Ed anche con qualche ufficiosa scaramuccia che si trascinò fino a periodi più recenti. E poi i cinesi sono da sempre preoccupati della presenza americana presso la grande base aerea Andersen e quella altrettanto importante ma navale di Apra Harbor che sorgono sull’isola di Guam, da dove gli Usa possono attaccare il Pacifico con la Settima flotta, e per questo i cinesi hanno militarizzato la loro isola di Hainan, che tuttavia è troppo vicina al continente per costituire un vero avamposto di difesa efficace, specialmente con i sistemi d’arma oggi disponibili. Bisogna poi ricordarsi dell’importanza strategica delle Filippine per i transiti nell’oceano Pacifico, non a caso teatro di grandi battaglie della seconda guerra mondiale. Per questo motivo nell’ultimo decennio Pechino ha costruito alle Paracel e alle Spratlys una ventina di basi per radar e logistica, piccoli porti, postazioni missilistiche e anche aeroporti che ha poi reso basi permanentemente presidiate dalle proprie forze armate. Alcune di queste, proprio per la loro posizione, hanno valenza strategica e preoccupano i “vicini di casa”. Come l’isola di Subi Reef, a meno di trenta chilometri da quella di Thitu che è sotto il controllo filippino, ma isola rivendicata anche dal governo vietnamita. O come l’isola di Sin Cowe, otto ettari in tutto sui quali i vietnamiti hanno fatto costruire bunker difensivi lungo tutto il perimetro e dove le immagini satellitari hanno svelato la realizzazione di una rete di tunnel che hanno comportato grandi sbancamenti, la cui conseguenza è stata la distruzione dell’ecosistema. Lo stesso ha fatto la Cina a West Reef, dove è addirittura stata ripiantata la vegetazione per occultare le costruzioni militari, mentre è stata praticamente distrutta la barriera corallina per consentire il passaggio di navi di maggiori dimensioni e quindi dal pescaggio importante. Sull’altro fronte, Hanoi ha da tempo fortificato con lanciamissili alcune isole dell’arcipelago Spratlys acquistando sistemi occidentali che hanno una gittata di circa duecento chilometri, in modo da impensierire (si fa per dire) le navi cinesi che volessero avvicinarsi. Dunque da una parte persiste la volontà cinese di imporre la sua presenza ed espandere le zone di protezione e di pesca, utilizzando la Marina militare ma anche l’immensa flottiglia di pescherecci armati (i satelliti ne contano ad oggi quasi 13.000), mentre dall’altra c’è la cosiddetta quadrupla alleanza composta da India, Australia, Giappone e Usa voluta da Barack Obama, intensificata da Donald Trump e oggi alimentata da Joe Biden. Ma anche la possibilità di attivare l’accordo denominato Enhanced Defense Cooperation Agreement (Edca), che fino al 2024 prevede che Manila possa chiedere aiuto a Washington consentendo l’accesso delle proprie forze nelle basi militari statunitensi e ricevendo aiuti per la costruzione di nuove strutture di difesa. L’intento da parte occidentale è chiaro: rallentare l’espansione della Cina occupando zone di mare nelle quali compiere continue esercitazioni militari congiunte, ma anche posizionare stazioni di controllo dello spazio aereo e sistemi per la guerra elettronica e cibernetica tenendo quindi sotto stretta osservazione le potenzialità del Dragone. Ecco perché, recentemente, Pechino ha esteso i suoi rapporti diplomatici con Manila facendo leva su necessità comuni, compresa la lotta al Covid e il ripristino rapido dei collegamenti aerei e marittimi, pur di evitare l’attivazione del trattato Edca con gli Usa.

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