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«Io, da Genova all’Ucraina per combattere contro Putin»

«Io, da Genova all’Ucraina per combattere contro Putin»

Parla un volontario italiano diretto nel Donbass per entrare nella resistenza contro i russi. Il capo del Cremlino? «Vuol far rivivere l’Unione sovietica» dice il giovanissimo miliziano di estrema destra. Uccidere il nemico? «Bisogna fare quello che è necessario».


Alessandro si è scelto il nome del più grande tra i condottieri, ma ha la voce acerba di quei giovani eroi omerici che vanno alla guerra senza conoscerne gli orrori e sperano solo di trovare gloria imperitura sotto le mura di Ilio. «Sto partendo per il Donbass» confida a Panorama questo ventenne di Genova che incrociamo in uno studio legale del capoluogo ligure mentre firma delle carte. Chiediamo se sia lì per il testamento, ma l’avvocato non vuole rivelare troppi dettagli. «Gli sto curando degli affari» taglia corto il professionista.

Alessandro si unirà alle milizie di Kiev per combattere Vladimir Putin e gli invasori russi. «Ho deciso di arruolarmi come volontario perché credo sia giusto aiutare gli ucraini a difendere i loro ideali e la loro vita» afferma. C’è una grande battaglia da combattere «contro un gigante assetato di sangue» e lui vuole esserci. Costi quel che costi.

Alessandro non è un contractor, non è un avventuriero né un pazzo. Non scappa dalla giustizia italiana, come pure capita a chi vede nella trincea un’alternativa a tribunale o carcere. Alessandro, a suo modo, è un idealista. «La mia è una motivazione politica. Non c’entrano i soldi o altro. C’entra, invece, una certa visione del mondo». Spiega: «Sono di estrema destra, non lo nascondo. Ma preferisco evitare di soffermarmi su questo aspetto, perché non lo ritengo utile. Già prima dell’attacco di fine febbraio sentivo forte il contrasto con tutto quello che Mosca rappresenta e ha rappresentato». È come se il Muro di Berlino non fosse mai caduto, per lui. L’Unione sovietica continua a vivere sotto mentite spoglie. E a minacciare il mondo con la falce e il martello.

La scintilla che ha spinto Alessandro al suo passo sono state le prime parole dello zar del Cremlino a ridosso dell’invasione. «Putin ha promesso di voler denazificare l’Ucraina. Diciamo che, in quel momento, ci siamo sentiti chiamare in causa». Il plurale è indeterminato. Alessandro tace sui componenti del suo gruppo. Quanti sarete a imbracciare il kalashnikov? «Non posso fornire troppi dettagli. Non potete sapere nulla di me, di noi. Anche Alessandro è un nome fittizio».

Vera però è la sua inesperienza sul campo, malgrado l’ardore delle dichiarazioni. Gli domandiamo se sia un militare o se abbia una qualche consuetudine con le armi. Per la prima volta, il giovane miliziano tentenna. Poi si lascia andare a una confessione che sembra quasi una ammissione di colpa. «Non ho pratica di questo genere» ammette. «Ma per un po’ di tempo ho frequentato un ambiente “simulativo”» aggiunge subito dopo, come a voler compensare la mancanza. Non vuol essere più preciso: «Simulazioni, roba del genere». Il sospetto è che si riferisca ai giochi di ruolo, come il softair, dove si utilizzano fucili e pistole a pallini.

Nel Donbass però proiettili e granate sono reali. Esplodono, feriscono a morte. Paura di lasciarci la vita in Ucraina? «I timori ci sono. Per la mia famiglia e per la mia vita. Sono giovane, ci tengo alla pelle». Mentre sembra cedere al sentimentalismo, si riprende. «Ma le idee si portano avanti con la penna e con la spada, mettiamola così».

L’avvocato lo ascolta in silenzio. Ha un figlio un po’ più grande del suo cliente e la preoccupazione pare prendere il sopravvento sulle ragioni professionali. Ritira l’ultimo foglio di carta appena siglato. Anch’esso in una cartellina per l’archivio. Alessandro è sollevato. Come arriverete nelle zone di guerra? «C’è già un accordo di massima, ma i dettagli sono segreti. L’itinerario è stato discusso nei giorni scorsi. Raggiungeremo l’Ucraina attraversando un Paese confinante. Non dovrebbe essere difficile».

I contatti locali stanno già aspettando questa pattuglia di legionari in partenza dall’Italia. «Sappiamo dove andremo e dove alloggeremo. Non siamo mica i soli a partire per combattere in Ucraina». Ma Alessandro finge di ignorare che cosa faranno. «Spero di contribuire al meglio alla causa» svicola. Ma in che cosa consisterà la tua attività? «Ciò che dovrò fare, mi sarà comunicato là da persone esperte. E delle quali mi fido». E se l’ordine fosse uccidere? «Bisogna fare quello che è necessario». Si ferma, e ripete: «Le idee non si portano avanti con le chiacchiere ma con i fatti». Anche togliendo la vita a qualcun altro? «Se uccidere è un fatto, allora bisogna farlo». Il sillogismo della follia bellica.

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