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Cina: la verità negata

Cina: la verità negata

  • Con il diffondersi del Covid-19, il gigante asiatico ha intrapreso un’azione di insabbiamento delle notizie sull’epidemia, sfruttando il rigido controllo sociale nel Paese. Obiettivo: annullare nell’incertezza le responsabilità del contagio davanti al mondo. Ecco la cronaca puntuale di come è stata gestita la «disinformazione».
  • In Italia Pechino ha referenti consolidati e trova neofiti pronti a stringere relazioni politiche ed economiche. Dalle comunicazioni alle infrastrutture, nei prossimi anni sono in gioco interessi giganteschi.

L’accusa è forte, ma dettagliata: sul Covid-19 la Repubblica popolare cinese, per almeno un mese, ha deliberatamente condotto un insabbiamento totale. Un’operazione di copertura i cui risultati, apocalittici, oggi sono sotto gli occhi di tutti. Insomma, è stato un perfetto caso di disinformazione da regime autoritario.

La cronologia che segue, realizzata incrociando tra loro fonti diverse, racconta come è nata l’epidemia del nuovo coronavirus a Wuhan, la megalopoli da 11 milioni di abitanti, 600 chilometri a ovest di Shanghai, che è capitale del distretto dello Hubei (circa 60 milioni di abitanti). Racconta soprattutto come il governo di Pechino abbia fatto di tutto per nasconderne lo scoppio e poi ne abbia minimizzato il pericolo.

È stato un lockdown informativo che la Repubblica popolare ha imposto al resto del mondo almeno dalla metà del dicembre 2019 fino all’11-12 gennaio 2020. Un mese cruciale, nel quale il virus ha potuto diffondersi e contagiare non soltanto l’Italia ma tutte le principali democrazie occidentali, trasformando un problema sanitario «locale», per quanto grave, nella pandemia globale che purtroppo oggi conosciamo.

La disinformazione, peraltro, non è ancora terminata e ora si allunga sul numero dei morti: a Wuhan, che le autorità hanno deciso uscirà dall’isolamento l’8 aprile – mentre lo Hubei è stato liberato il 24 marzo – i decessi ufficiali sarebbero stati 2.535 (e in tutta la Cina sarebbero più di 3.200 su circa 82.000 contagiati), ma l’attendibile Radio Free Asia sostiene che le urne cinerarie in distribuzione in città siano almeno 42.000.


17 novembre 2019

Per il South China Morning Post, quotidiano indipendente di Hong Kong, questo è il giorno in cui – in base a carte ufficiali del governo di Pechino – a Wuhan vengono documentati «i primi casi d’infezione da coronavirus di un nuovo tipo».


10 dicembre 2019

Secondo il Wall Street Journal, si ammala con certezza una commerciante di frutti di mare al mercato degli animali di Wuhan: si chiama Wei Guixian, ha 57 anni. Sarà in seguito identificata come «paziente zero», il primo caso di quello che un mese dopo verrà identificato come Covid-19.


18 dicembre 2019

Wei viene ricoverata in ospedale con una polmonite bilaterale di origine sconosciuta. Nei giorni successivi altri malati vanno in ospedale (fonte: Wall Street Journal).


26 dicembre 2019

Secondo Caixin, una piattaforma digitale d’informazione economica con base a Pechino, i campioni prelevati ai primi pazienti ospedalizzati a Wuhan per «presunta polmonite virale bilaterale» vengono inviati a vari centri di analisi della Repubblica popolare.


27 dicembre 2019

Zhang Jixian, medico dell’ospedale provinciale dell’Hubei, segnala alle autorità sanitarie locali che la polmonite potrebbe essere causata da un nuovo tipo di coronavirus. A questa data, gli ospedalizzati a Wuhan sarebbero già 180 (fonte: South China Morning Post).


31 dicembre 2019

Le autorità sanitarie di Wuhan comunicano all’ufficio cinese dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che in città sono stati segnalati casi di «una nuova forma di polmonite» (fonte: Caixin). Non è dato sapere quale sia la reazione di quell’ufficio, e se trasmetta la segnalazione a Ginevra. La censura cinese, nel frattempo, inizia a bloccare automaticamente tutte le ricerche in Rete di chi intenda sapere di più su quel che sta accadendo a Wuhan e sul nuovo coronavirus.


1° gennaio 2020/1

Secondo la Cnn, Li Wenliang, un oculista di Wuhan che nei giorni precedenti ha discusso con altri sette medici sulla piattaforma WeChat di quella che ritiene essere un’epidemia causata da un nuovo coronavirus, viene arrestato per «diffusione di false notizie» e interrogato dalla polizia. Li, che poi si ammalerà di Covid-19 (ne morirà il 2 febbraio e oggi viene considerato un eroe), è costretto a firmare una pubblica lettera di scuse. Gli altri sette medici vengono «sconsigliati» dal diffondere le notizie sul virus.


1° gennaio 2020/2

La Commissione sanitaria dell’Hubei ordina a tutti i centri di analisi cui sono stati spediti campioni il 26 dicembre di interrompere i test e di distruggere il materiale ricevuto (fonte: Caixin).


1° gennaio/3
Secondo il New York Times, il mercato degli animali di Wuhan viene chiuso dalla polizia, senza che sia condotta alcuna analisi sanitaria su quanti vi lavoravano.


3 gennaio 2020

La Commissione nazionale di sanità cinese emette un’ordinanza-bavaglio che impedisce a tutte le istituzioni mediche di divulgare informazioni sul contagio in corso a Wuhan (fonte: Caixin).


5 gennaio 2020

Il professor Zhang Yongzhen, un biologo del Centro clinico di salute pubblica di Shanghai che ha ricevuto i campioni spediti da Wuhan, fornisce la sequenza genomica del virus alle autorità sanitarie cinesi e le allerta: si tratta di un nuovo coronavirus, molto aggressivo. È questa la prima individuazione ufficiale di Covid-19 (fonte: Wall Street Journal).


10 gennaio 2020

China Central Television, la tv pubblica cinese, trasmette una dichiarazione di Wang Guangfa, esperto sanitario governativo: il funzionario afferma che la «cosiddetta polmonite di Wuhan» in realtà è «sotto controllo» (fonte: New York Times).


11 gennaio 2020

Non avendo ricevuto alcuna risposta dalle autorità sanitarie cinesi, il professor Zhang Yongzhen, il biologo che a Shanghai ha individuato la sequenza genomica del virus, pubblica online i suoi dati nel database di GenBank, banca dati online aperta alla comunità scientifica mondiale, e altrettanto fa sulla piattaforma tedesca Gisaid (fonte: South China Morning Post). Il giorno stesso (ma altre fonti sostengono il giorno dopo), il suo laboratorio viene chiuso dalla polizia.


11 gennaio 2020

Un cliente del mercato del pesce di Wuhan muore di coronavirus nell’ospedale di Wuhan e almeno altri sette pazienti versano in gravi condizioni (fonte: South China Morning Post). Ma non si ha alcun dato su quanti siano in totale i contagiati, né i morti.



11/12 gennaio 2020

Grazie ai dati divulgati su GenBank e Gisaid, la Commissione sanitaria nazionale cinese è costretta a incontrarsi con rappresentanti dell’Oms e per la prima volta fornisce al mondo informazioni ufficiali sull’esistenza del nuovo Covid-19.


12 gennaio 2020

Da Ginevra, l’Oms diffonde la notizia, fin qui ignorata dal mondo, che «a Wuhan si sono verificati 41 casi di polmonite originata da un nuovo tipo di coronavirus». L’Oms è rassicurante: aggiunge che «non ci sono chiare prove di trasmissione da uomo a uomo nel nuovo focolaio di Covid-19 a Wuhan, ma le autorità cinesi continuano ad attuare un’intensa attività di sorveglianza e misure di follow-up, comprese le indagini ambientali».


14 gennaio 2020

Intervistata dall’agenzia Reuters, la responsabile dell’Unità malattie emergenti dell’Oms, Maria Van Kerkhove, dichiara che «alle informazioni di cui fin qui disponiamo è possibile che la trasmissione da uomo a uomo sia limitata, potenzialmente a livello intra-familiare, ma al momento è molto chiaro che non esista una trasmissione da uomo a uomo sostenuta». L’agenzia Reuters aggiunge però che «l’Oms si sta comunque preparando alla possibilità di un’epidemia più ampia».


15 gennaio 2020

La Cina risponde all’Oms con una dichiarazione di Li Qun, capo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie: il funzionario conferma che è stato rilevato solo un «basso rischio di trasmissione del virus da uomo a uomo» (fonte: Wall Street Journal).


18 gennaio 2020

Forse per confermare l’insussistenza di un qualsiasi allarme, il Comune di Wuhan organizza un banchetto di beneficenza per l’imminente Capodanno cinese (25 gennaio) cui partecipano 40.000 famiglie: la città intende anche partecipare al Guinness mondiale dei primati per il maggior numero di piatti serviti in un evento pubblico. Le autorità di Wuhan annunciano la distribuzione di 200.000 biglietti gratuiti ai residenti per le attività del festival nelle prossime vacanze di Capodanno (fonte: New York Times).


20 gennaio 2020

Zhong Nanshan, pneumologo cinese divenuto famoso nel mondo perché nel 2003 ha individuato il coronavirus della Sars, dichiara che la trasmissione da persona a persona del nuovo coronavirus è «un dato di fatto», e che le autorità locali di Wuhan «sono state negligenti nel divulgare le informazioni sul virus in loro possesso» (fonte: Wall Street Journal). Alcuni giorni dopo Zhong conferma alla Reuters: «Il governo e l’autorità sanitaria locali portano su di sé una certa responsabilità. Non hanno lavorato bene».


22 gennaio 2020/1

A Wuhan entrano in vigore le prime misure di distanziamento sociale. Il governo di Pechino ammette l’esistenza di 571 contagiati in città e sospende i festeggiamenti per il Capodanno.


22 gennaio 2020/2

Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che nel 2017 è stato eletto grazie al cruciale sostegno di Pechino, dichiara: «Le misure prese dal governo cinese contro il coronavirus sono impagabili».


23 gennaio 2020

Il governo di Pechino ordina l’isolamento di Wuhan e di altre 18 città del distretto dello Hubei. Vengono inviate ingenti forze militari, più 1.230 medici da Shanghai e dal Guangdong. I media internazionali cominciano a dare notizia di 1.300 contagi in tutto il mondo, a partire da Thailandia, Giappone, Corea del Sud.


24 gennaio 2020

Il governo di Pechino inizia la costruzione di un ospedale da 10.000 letti a Wuhan: sarà completato in dieci giorni, il 2 febbraio.


27 gennaio 2020

Il sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, ammette di non aver diffuso tutte le informazioni sul virus di cui disponeva, ma spiega che ha «seguito le regole di Pechino, che limitavano ciò che si poteva rivelare sulla minaccia rappresentata dall’agente patogeno».
Indirettamente ammette quindi che il governo abbia dato disposizioni per insabbiare l’allarme (fonte: Wall Street Journal).


28 gennaio 2020

Dopo un incontro a tu per tu con il presidente Xi Jinping, a Pechino, il capo dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus plaude la «dedizione con cui la Cina sta contenendo il virus, e la sua trasparenza». Aggiunge: «Le sue azioni hanno effettivamente contribuito a prevenirne la diffusione in altri Paesi».


6 febbraio 2020

Il presidente Xi Jinping ordina di accrescere la censura di internet su tutte le notizie sul virus, e di chiudere l’accesso di WeChat a chi critica le autorità (fonte: South China Morning Post).


15 febbraio 2020

La rete radiofonica americana Npr sostiene che Xi Jinping stia rafforzando la censura su tutto ciò che riguarda il virus. L’attivista per i diritti umani Xu Zhiyong, che ha chiesto al presidente di scusarsi per l’insabbiamento, viene arrestato.


19 febbraio 2020

La Cina espelle tre giornalisti del Wall Street Journal che hanno indagato sull’epidemia.


10 marzo 2020

Il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio annuncia che grazie al suo intervento e al supporto ricevuto dall’Italia nei mesi precedenti, la Cina spedirà all’Italia aiuti sanitari e medici. Si lascia intendere che gli aiuti siano gratuiti, ma non è vero: tutto viene acquistato con le donazioni private. La stessa ambiguità mostra l’ambasciata cinese, che sul suo profilo Facebook scrive: «Il nostro governo è pronto a fare la sua parte in segno di profondo ringraziamento verso l’Italia che ha aiutato il Paese nel momento del bisogno».


11 marzo 2020

L’Oms dichiara che quella di Covid-19 è una pandemia globale, che ha attaccato almeno 114 Paesi.


12 marzo 2020

Il portavoce del ministero cinese degli Esteri, Zhao Lijian, dichiara che il Covid-19 non ha avuto origine a Wuhan, né in Cina, ma «è stato importato dai soldati americani che nell’ottobre 2019 hanno partecipato ai Giochi militari internazionali di Wuhan».


15 marzo 2020

La portavoce del ministro cinese degli Esteri, Hua Chunying, pubblica su Twitter ufficiale un video dove, a suo dire, a Roma gli italiani canterebbero l’inno cinese per ringraziare Pechino degli aiuti ricevuti contro l’emergenza. È un falso: in realtà i romani cantano l’inno italiano, e solo per farsi coraggio.


22 marzo 2020

Il Global Times, tabloid quotidiano pubblicato dal Partito comunista cinese, travisa una dichiarazione del farmacologo italiano Giuseppe Remuzzi e scrive che il virus non ha avuto origine in Cina, ma in Italia.


28 marzo 2020

La Cina sospende l’ingresso nel Paese degli stranieri con visto o permesso di residenza ancora valido.


1° aprile 2020

L’agenzia Bloomberg riferisce di un rapporto consegnato dall’intelligence Usa alla Casa Bianca da cui risulta che la Cina ha nascosto la reale portata dell’epidemia del coronavirus dichiarando «numeri falsi» sia sui contagi sia sulle vittime.


13 aprile 2020

La Cina riporta 169 nuovi casi di coronavirus, il numero più alto delle ultime cinque settimane.


Tutti gli uomini del presidente (Xi Jinping)

Cina: la verità negata
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Villa Madama durnate la visita di Xi Jinping nel marzo 2019 (Getty Images).

Che cosa accomuna politici tra loro assai diversi come Romano Prodi, Massimo D’Alema, Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Beppe Grillo, Gennaro Migliore, Paolo Gentiloni o Roberto Maroni? La passione per il calcio, o per la buona tavola, le donne, i viaggi, le vacanze al mare? Sono tutte pedine importanti di Pechino sullo scacchiere italiano ed europeo. Fari che si illuminano al momento giusto e soprattutto sanno spegnersi, al momento giusto. Un esempio per tutti: sulle responsabilità delle autorità di Pechino nella nascita e nella diffusione della pandemia, le lanterne cinesi di casa nostra non si sono mai accese. E lo stesso vale per la repressione a Hong Kong e nella regione dello Xinjiang, per non dire degli arresti di preti cattolici in Cina.

Certo, una suggestione curiosa c’è ed è quella tra le bandiere della Cina e del movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: in entrambe si trovano cinque stelle. Ma se l’amore per le stelle è spesso associato al sogno e alla contemplazione, ci sono legami più solidi e concreti. Lo scorso 14 novembre, per esempio, quando la Casaleggio & Associati organizzò un seminario sulle «Smart company», l’ospite d’onore era Thomas Miao, capo di Huawei Italia. Una legittimazione non da poco per il manager cinese, visto che la Casaleggio gestisce in modo privatistico anche un movimento che in questo secondo governo Conte esprime ministri come Luigi Di Maio (Esteri), Stefano Patuanelli (Sviluppo economico e tlc) e Paola Pisano (Innovazione).

Il «garante» di M5s, Beppe Grillo, è di casa all’ambasciata cinese, ma almeno non lo nasconde. Lo scorso 24 novembre, sul suo blog, il comico genovese ha pubblicato una foto al braccio dell’ambasciatore Li Junhua, accompagnata da una considerazione egualmente comica: «Gli ho portato del pesto e gli ho detto che se gli piacerà dovrà avvisarmi in tempo, perché sarei in grado di spedirne una tonnellata alla settimana, sia con aglio che senza, per incoraggiare gli scambi economici!». Quando le faceva Silvio Berlusconi, queste finte gag, Grillo gliene diceva di tutti i colori.

Tre settimane prima, Di Maio era stato ospite del China International Import Expo di Shanghai, unico ministro degli Esteri tra gli oratori all’inaugurazione. Un anno prima, il 9 settembre 2018, lo stesso Di Maio aveva personalmente acceso alla Fiera del Levante di Bari la prima antenna 5G del progetto realizzato da Tim, Fastweb e Huawei. Poi certo, ogni volta che su Huawei ci sono state polemiche, o allarmi del Copasir e dei servizi italiani, l’ex capo politico del Movimento ha ripetuto le formulette di rito: «Staremo attenti», «Saremo rigidi». I libri di storia sono pieni di queste rassicurazioni. Ma dal lato dei perdenti.

Proprio al Mise, il successore di Di Maio, Stefano Patuanelli, si muove in perfetta continuità. Lo scorso 23 dicembre, ascoltato dal Copasir, ha fatto il pompiere garantendo che i colossi cinesi delle tlc che operano anche in Italia, come Zte e Huawei, sono sotto controllo e che «la normativa varata garantisce la sicurezza nazionale». Al Mise è poi operativo il Cvcm, che sta per Centro di valutazione e certificazione nazionale. I suoi compiti sono, si legge sul decreto istitutivo, «la verifica delle condizioni di sicurezza e dell’assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati e sistemi destinati a essere utilizzati per il funzionamento di reti, servizi e infrastrutture strategiche».

È qui che la diplomazia cinese in Italia ha puntato i suoi riflettori ed è qui che nascono le preoccupazioni dell’intelligence italiana, perché è nel Cvcm che si giocherà la partita delle forniture. Sempre al Mise, come non ricordare l’ex sottosegretario leghista (nel Conte I) Michele Geraci, titolare di tre cattedre universitarie in Cina, ingegnere ed economista, che portò al ministero la sua assistente cinese di 27 anni ed era un convinto assertore del «Modello cinese» per l’economia italiana. I leghisti ne erano così imbarazzati che dicevano sempre che Geraci era dei Cinque stelle.

E a proposito di ex leghisti, nella collezione pregiata di Pechino spicca un ex ministro degli Interni come Roberto Maroni, che a luglio dell’anno scorso fu pizzicato da Dagospia tra i molti consulenti di Huawei. Al governo c’è comunque un’altra buona amica di Pechino come Paola Pisano, ministro dell’Innovazione e della digitalizzazione dello Stato (italiano). Nei giorni scorsi ha lanciato l’iniziativa «Solidarietà Digitale», alla quale Huawei ha prontamente risposto con la donazione di 500 tra tablet e smartphone. Il trampolino di lancio della Pisano è stato l’analogo ruolo di assessore a Torino. E anche lì, le aziende cinesi hanno trovato in lei, ricercatrice quarantenne, il canale per arrivare al sindaco Chiara Appendino e proporre varie partnership.

Anche i porti italiani sono visti come una chiave di volta irrinunciabile della strategia di penetrazione delle merci made in China e lo sanno bene a Genova e a Savona, dove da anni, imperante il Pd dalemiano, opera Cosco. Tra i 29 accordi commerciali contenuti nello strombazzatissimo «Belt and road iniziative» (Bri), c’è l’individuazione di Genova e Trieste come porti dove collaborare sempre più. Ma l’accordo sulla Liguria occidentale, preparato dall’authority portuale guidata da Paolo Emilio Signorini, è stato giudicato, non solo dai renziani di Italia viva, ma anche da mezzo Pd, come pericolosamente estraneo alla cornice europea.

I lavori infrastrutturali negli scali saranno condotti da un altro gigante di Pechino, la China Communications Construction Company (Cccc). Sempre in tema di attività marittime, Fincantieri vinse nel 2017 una commessa cinese per quattro navi da crociera, con annesso impegno a Shanghai, scatenando le invidie dei francesi e il sospetto che stiamo trasferendo tecnologie ai cinesi. In realtà, il colosso pubblico della cantieristica si è mosso con gli americani di Csss e il suo a.d. Giuseppe Bono, (76 anni, al timone di Fincantieri dal 2002), anche se ora passa per amico della Cina, è noto per essere più che altro amico di Giuseppe Bono.

Se si guarda ai politici della Prima e Seconda Repubblica, colpisce che ben due fan di Pechino siano in lizza per la prossima elezione alla presidenza della Repubblica, ovvero Romano Prodi e Paolo Gentiloni. Dell’attuale commissario europeo è nota la prudenza, ma il suo messaggio lo lanciò appena prese il posto di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Il 15 giugno 2017, in un convegno del Pd dedicato alla Cina, Gentiloni affermò: «Per me Prodi su materie come queste è un punto di riferimento (…) e ora da premier approfitto di essere suo amico e gli chiedo qualche dritta su queste questioni su cui lui molto ha lavorato». E Prodi, in effetti, sulla Cina ha molto lavorato.

Già da presidente dell’Iri, nel 1983, il futuro fondatore dell’Ulivo si mise a fare la spola con Pechino, firmando intese su intese per «il futuro della siderurgia», che poi, però, certo senza sua colpa, è stato più roseo per la Cina che per l’Italia. Anche da ex presidente della Commissione Ue, Prodi ha continuato a viaggiare e insegnare in Cina. Lo scorso autunno, non ha risparmiato dichiarazioni a favore di Pechino quasi quotidiane, arrivando a dire che «l’Italia ha bisogno della Cina per modernizzare i suoi porti», che messa così sembra un po’ da straccioni. E naturalmente è l’unico italiano che siede nell’Advisory board della Bri. Del resto, il «cattolico adulto» Prodi si è speso addirittura personalmente per benedire pubblicamente il discusso accordo tra Vaticano e Cina sulla nomina dei vescovi.

Nel vendicativo album di famiglia della sinistra italiana, una sola cosa unisce Prodi e Massimo D’Alema: la Cina. Da premier, a fine anni Novanta, Baffino aprì le porte ai cinesi. Tra il 2010 e il 2013 guidò il Copasir, dal 2018 insegna alla Link Campus University di Vincenzo Scotti e da qualche anno fa la spola con Pechino, dove è stato ospite di Xi Jinping. Ovviamente, anche D’Alema è un fan della Via della seta.

Mentre in Italia viva, dove a parte un prudentissimo Matteo Renzi si trovano molti esponenti che hanno criticato i legami tra M5s e Pechino, c’è un filocinese come Gennaro Migliore. In autunno, di fronte alle mozioni di Lega e Fratelli d’Italia sul rispetto dei diritti umani in Cina e i rischi di consegnare il 5G a Huawei, Migliore ha appoggiato con una mozione lo sforzo di Pd e Cinque stelle di difendere Pechino. Poi, certo, le loro aziende ci regalano le mascherine. Dopo. 

Francesco Bonazzi

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