La solidarietà internazionale all’Italia ha visto in prima linea cinesi, russi e cubani. In Europa hanno risposto solo i tedeschi, seguiti dagli albanesi. Ma è soprattutto il mancato intervento di Washington (che ha mandato un Hercules solo il 23 marzo) a sconcertare l’opinione pubblica.
[html5_video https://s3.amazonaws.com/roar-assets-auto.rbl.ms/runner%2F16618-VIDEO-2020-03-29-11-07-36.mp4 photo_credit=”s3.amazonaws.com” url=”https://s3.amazonaws.com/roar-assets-auto.rbl.ms/runner%2F16618-VIDEO-2020-03-29-11-07-36.mp4″ videoControls=true caption=”Il premier albanese Edi Rama alla partenza dei 30 medici per l’Italia.” photo_credit_src=”https://s3.amazonaws.com/roar-assets-auto.rbl.ms/runner%2F16618-VIDEO-2020-03-29-11-07-36.mp4″ expand=1 shortcode_id=1585473815496 feedbacks=true mime_type=”video/mp4″] Il premier albanese Edi Rama alla partenza dei 30 medici per l’Italia. s3.amazonaws.com
I più sorprendenti sono stati gli albanesi: alla partenza per l’Italia dei 30 medici del Paese delle aquile, il premier Edi Rama ha ricordato che «l’Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà». I più toccanti sono stati i cubani: i 53 fra medici e infermieri sono arrivati all’ospedale di Crema in abiti estivi, tremanti di freddo. I più veloci sono stati i cinesi, che hanno iniziato a mandarci medici e aiuti già il 12 marzo. I più scenografici sono stati i russi, che ci hanno mandato nove Ilyushin con 104 medici militari e tonnellate di equipaggiamento medico. Ma si sono mossi anche i tedeschi, che hanno aperto i loro capienti reparti di terapia intensiva a 60 pazienti italiani gravi. All’appello hanno risposto persino i vietnamiti. E, buoni ultimi, anche gli statunitensi.
È partita la mobilitazione internazionale per l’Italia sotto attacco da coronavirus. Mobilitazione che, a onor del vero, va di pari passo con quella dell’Unione europea. Il 23 marzo il Consiglio Ecofin ha aperto a investimenti e a maxi aiuti finanziari per l’Italia e i Paesi più colpiti dalla pandemia. Sono stati già individuati fondi Ue per 37 miliardi di euro, 11 dei quali promessi al nostro Paese.
E anche la Bce, dopo l’infelicissima uscita sullo spread del presidente Christine Lagarde, il 19 marzo ha annunciato il lancio del piano Pepp (Pandemic emergency purchase programme) da 750 miliardi di euro, per l’acquisto di obbligazioni pubbliche e private dei Paesi membri dell’eurozona. In sintesi, liquidità destinata in particolar modo ai Paesi in difficoltà come l’Italia. Il tutto in attesa delle proposte di lungo periodo della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

Ma più sentita della solidarietà finanziaria è la solidarietà concreta, quella fatta di mascherine, ventilatori e, soprattutto, medici e infermieri che vengono in Italia a rischiare la vita per aiutarci. O che, come gli ospedali tedeschi di sette Laender tedeschi, rischiano un allargamento del contagio pur di accogliere i nostri malati. Ed è questa solidarietà a commuovere gli italiani, che in passato erano in prima fila quando si trattava di aiutare i Paesi in difficoltà. La Croce rossa cinese, per esempio, si è mobilitata anche per ricambiare la solidarietà ricevuta dalla nostra Croce rossa dopo il terremoto del 12 maggio 2008 nello Sichuan.
Un capovolgimento di ruoli che ha scardinato tanti luoghi comuni, ma che ha anche fatto scatenare un feroce dibattito. «A me non mi fregano. I cinesi ci hanno portato il virus» ha detto il 15 marzo Giorgia Meloni su La7. «Qualcuno cerca di raccontare i cinesi come punto di riferimento e salvatori della patria perché ci stanno prestando le mascherine». La leader di Fratelli d’Italia faceva riferimento al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che due giorni prima aveva ringraziato Pechino per averci inviato medici e forniture ospedaliere: «Ci ricorderemo di chi ci ha aiutato come ha fatto la Cina». Di sicuro, vista l’origine della pandemia, a muovere Pechino è stato anche un sentimento di corresponsabilità. La generosità del gesto, però, è innegabile.
Ma gli aiuti cinesi hanno creato scompiglio anche all’interno dello stesso governo. Dopo un’altra uscita di Di Maio, il 24 marzo («Chi ci ha deriso sulla Via della Seta, ora deve ammettere che investire in questa amicizia ci ha permesso salvare vite in Italia»), il democratico Andrea Romano l’ha bacchettato: «Lo strabordante entusiasmo di Luigi Di Maio verso la “spontanea e dinteressata amcizia della Cina” comincia a essere imbarazzante». E la sua compagna di partito Lia Quartapelle, capogruppo commissione Esteri della Camera: «È ingrato nei confronti di tutti i Paesi che stanno aiutando l’Italia continuare a ringraziare solo la Cina».
Già, gli altri Paesi. Dopo la Cina viene la Russia. Come Panorama ha spiegato in un articolo del 22 marzo, anche Mosca ha mandato aiuti, almeno in parte, per una ragione politica. Dopo che cittadini russi con posizioni di rilievo avevano ricoperto di contumelie l’Italia, il 21 marzo il presidente Vladimir Putin ha telefonato al premier Giuseppe Conte. Tutto poi è stato rapidissimo: nella stessa serata il presidente di tutte le Russie ha annunciato l’operazione «Dalla Russia con amore» e il giorno dopo è atterrato a Pratica di Mare il primo Ilyushin, carico di 45 tonnellate di aiuti e di un centinario di ufficiali medici.

Anche in questo caso, apriti cielo! Il 24 marzo il quotidiano Financial Times ha lanciato l’allarme con un articolo intitolato «La Russia flette i suoi muscoli del suo soft power con un trasporto aereo di assistenza medica all’Italia». Il quotidiano londinese ha sottolineato come Mosca stia «cogliendo un’opportunità per sottolineare le sue strette relazioni con uno dei più importanti Paesi dell’Unione europea». Tre giorni dopo, il quotidiano La Stampa ha rivelato che «si sono rafforzati i timori – sia nel governo sia in ambienti militari – che l’operazione di aiuti spediti da Vladimir Putin al Belpaese (…) si palesi infine anche come spedizione di forze militari, tra cui un centinaio di specialisti in guerra batteriologica».
Commento di Simona Viola, presidente di «Più Europa»: «Se le ricostruzioni giornalistiche sono precise e veritiere, vorrebbe dire che Conte ha accettato l’aiuto, offerto da Putin, non di medici civili, ma di un contingente militare composto da esperti in guerra batteriologica. Non ci troveremmo insomma di fronte a una forma di cooperazione in campo sanitario, ma a un atto di subordinazione politica dell’Italia nei confronti della Russia».
Voci nel deserto o strumentalizzazioni politiche? Un fatto è certo: la mossa russa ha messo in imbarazzo i tradizionali alleati occidentali dell’Italia, che fino a quel momento non avevano brillato per solidarietà verso l’Italia colpita dalla peggiore crisi del Dopoguerra. A livello europeo si era alzata solo la voce della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che non a caso è un medico. Il 12 marzo si era rivolta al nostro Paese, con un messaggio in italiano: «Non siete soli. In Europa siamo tutti italiani, vi sosterremo». Per il resto, silenzio di tomba. Come aveva scritto Foreign Policy il 14 marzo, «in una vergognosa abdicazione di responsabilità, i Paesi dell’Unione Europea non hanno fornito assistenza medica e forniture all’Italia durante un’epidemia. La Cina sta riempiendo il vuoto». L’articolo, intitolato «L’Ue sta abbandonando l’Italia nel momento del bisogno», aveva rivelato un interessante retroscena. «Il mese scorso, quando Covid-19 ha iniziato a diffondersi rapidamente in Italia, il Paese ha chiesto aiuto attraverso il Centro di coordinamento delle emergenze» aveva scritto l’autrice Elisabeth Braw. «”Abbiamo chiesto forniture di attrezzature mediche e la Commissione Europea ha inoltrato l’appello agli Stati membri”, mi ha detto il rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, Maurizio Massari. “Ma non ha funzionato”».
Qualche giorno dopo, l’unica a muoversi in Europa era stata la Germania, che aveva mandato il 18 marzo a Malpensa un aereo Lufthansa con 1500 tute protettive e il 19 a Pratica di Mare un Boeing con un carico di aiuti medici, incluse attrezzature per la respirazione.

Dopo il blitz russo, si è mosso anche l’Occidente. Il 23 marzo, l’annuncio dalla Germania: la Sassonia si è detta pronta ad accogliere i pazienti italiani seriamente affetti da coronavirus. Nel giro di tre giorni, all’iniziativa si sono uniti altri sei Laender tedeschi. La Protezione civile riferisce che nel fine-settimana del 21 e 22 marzo è arrivato del materiale sanitario anche dalla Francia. Sempre il 23 marzo, dalla base di Ramstein, in Germania, è decollato un C-130J Super Hercules dell’aviazione statunitense diretto alla base Usaf di Aviano. A bordo, un sistema medico in grado di stabilizzare fino a 40 pazienti. E il Consiglio per la sicurezza nazionale ha twittato: «Gli Stati Uniti stanno lavorando a stretto contatto con gli alleati europei per fermare la pandemia da coronavirus». Annotazione curiosa: fino a quel momento l’unico gesto di solidarietà d’oltreoceano era arrivato da un’organizzazione evangelica, Samaritan’s Purse, che il 18 marzo aveva mandato all’ospedale di Cremona 20 tonnellate di equipaggiamento sanitario e 32 volontari.
«Poca cosa rispetto a quello che ci si poteva attendere da un Paese che è stato per lungo tempo lontano dal contagio» commenta il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano. «È un problema di carenza di leadership. Sarebbe bastato un gesto dai contingenti Usa presenti a Vicenza o a Camp Darby, in Toscana, come mettere a disposizione qualche medico. Avrebbe avuto un effetto maggiore. In altri contesti, il governo americano si era fatto più presente, come accadde per il terremoto nel Friuli».
Già, il Friuli. Un esempio per tutti della solidarietà made in Usa: la casa di riposo di Villa Santina, sulle montagne della Carnia, che non a caso si chiama Residence Stati Uniti d’America. Ancor oggi è ben visibile la targa che ricorda che fu realizzata grazie all’intervento del governo degli Stati Uniti d’America con i fondi dell’Agency for International Development, nel tempo difficile della ricostruzione post-terremoto del 1976. Soldi ma anche solidarietà umana: a una settimana esatta dalla scossa devastante del 6 maggio, in Friuli era arrivato in visita nientemeno che il vice-presidente degli Stati Uniti, Nelson Rockefeller.
Altri tempi… Ma la carenza di leadership (rilevata anche dal premier albanese: «Paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri») riguarda anche l’Europa. «In Italia la gente è sconcertata per il disinteresse degli Stati Uniti e molto arrabbiata per l’assenza dell’Europa» constata Vittorio Emanuele Parsi. «L’Europa fatica a prendere decisioni rapide e convergenti. E, anche quando lo fa, ci mette tempo, comunicando in modo piuttosto maldestro. Ciò riguarda sia l’Unione europea – con l’unica eccezione della presidente Ursula von der Leyen, che mi sembra si stia muovendo molto bene – sia i singoli Paesi».
Un vuoto che, inevitabilmente, viene riempito da altri. «Al di là del fatto che chiunque mandi aiuti in questo momento sa di fare cosa gradita, contemporaneamente sa di farlo in un momento in cui i recettori dell’opinione pubblica sono particolarmente attivi» riflette Parsi. «Sa che il gesto di generosità, rispetto ad altri contesti, avrà un impatto maggiore. Certo, in entrambi i casi si è trattato anche di un’operazione mediatica: la Russia aveva bisogno di recuperare l’immagine per la questione delle sanzioni, la Cina perché il virus è partito da lì».
Ma non c’è nulla di cui stupirsi: fin dai tempi del piano Marshall, gli aiuti hanno motivazioni politiche. «Certo. In tutte le operazioni di solidarietà internazionale c’è sempre una componente politica» risponde Parsi. «E quando la logica politica immediata (cioè quella fra alleati) viene meno, quella meno immediata (cioè quella fra non alleati) acquista una valenza importante e lungimirante. A questo si somma il contesto politico italiano cangiante: forze come la Lega e il Movimento 5 Stelle non hanno mai espresso significative posizioni di politica internazionale, se non accuse pretestuose verso l’Unione europea o i suoi Paesi maggiori. Ecco perché non mi stupisce che l’Italia sia divenuta terreno fertile per le narrazioni di Russia e Cina. Molto sta facendo, comunque, l’assenza di leadership americana».
L’ha sottolineata anche il giornalista Beppe Severgnini durante l’intervista al capo-delegazione dei medici cubani all’ospedale di Crema: «Molti in Italia lo hanno notato. Gli americani hanno portato via materiale sanitario italiano da Aviano e l’hanno portato negli Stati Uniti. E voi siete venuti qui da Cuba ad aiutarci. Strano, no?» Mirabile la risposta del dottor Carlos Ricardo Pérez Diaz: «In realtà noi in questo momento non stiamo pensando alla politica internazionale. Noi siamo venuti qui a condividere quello che abbiamo».