Home » Le guerre dell’acqua

Le guerre dell’acqua

Le guerre dell’acqua

Oggi, tra riscaldamento del pianeta, siccità o, al contrario, inondazioni disastrose, è sempre più difficile accedere a questa preziosa risorsa. Così il controllo delle fonti idriche scatena tensioni e conflitti, come racconta un nuovo saggio.


C’è una battaglia per l’acqua e una contro l’acqua. Il Rapporto mondiale dell’Onu sulle risorse idriche del 2021 afferma che il 30% dei sistemi di quella sotterranea si sta esaurendo, mentre il consumo di quella dolce è cresciuto di sei volte negli ultimi 100 anni. D’altra parte, inondazioni e piogge estreme sono aumentate del 50% nell’ultima decade, colpendo 103 milioni di persone e causando 55.000 morti e 76 miliardi di dollari di danni economici.

Sono battaglie combattute da sempre, ma l’attuale velocità del cambiamento del sistema climatico, con le sue ripercussioni sul ciclo dell’acqua, fanno intravedere la probabilità di un impatto sull’assetto delle istituzioni mondiali di proporzioni mai viste. Se questa tesi ci sembra esagerata è perché non siamo davvero consapevoli di come e quanto la gestione di questa risorsa abbia contribuito a plasmare l’organizzazione della società nel corso della storia; e perché la struttura delle moderne comunità rende invisibile il delicato equilibrio tra l’acqua e le istituzioni.

Il nuovo saggio Acqua. Una biografia di Giulio Boccaletti (Mondadori) ci aiuta ad acquisire una consapevolezza su uesto tema, offrendoci un lungo racconto delle relazioni tra uomo e acqua, civiltà e sistemi di irrigazione, modelli di gestione e fiumi. La vita sulla Terra è stata possibile grazie all’acqua e dentro di essa, dato che – come suggeriscono diverse teorie – fu nell’immenso «brodo caldo» dell’oceano che ebbero luogo i meccanismi chimici e fisici alla base della formazione di molecole sempre più complesse.

La storia narrata dall’autore comincia con l’emergere di Homo sapiens e il passaggio da popolazioni di cacciatori-raccoglitori all’agricoltura sedentaria sulle rive di fiumi quali il Tigri, l’Eufrate e il Nilo. Fu l’uscita dall’ultima glaciazione a permettere questa transizione, cui seguì il tentativo di controllare l’acqua per l’agricoltura e l’allevamento.

Se è vero che non c’era niente di inevitabile nella nascita degli Stati, per Boccaletti questi ultimi sorsero per utilizzare l’acqua a proprio vantaggio. Da ciò seguì un’esplosione della popolazione e una divisione del lavoro, e conflitti tra gruppi umani diversi. La gestione collettiva di questa risorsa avrebbe gettato le basi della democrazia nell’Antica Grecia, la sua messa in sicurezza avrebbe condotto a sistemi di tassazione nel mondo romano e il recupero di forme repubblicane dopo il Medioevo avrebbe modellato l’azione collettiva contro la forza dell’acqua.

Il resto della storia è raccontato come un succedersi di istituzioni politiche che sorgono o si sviluppano nel tentativo di affrontare alluvioni e siccità. Gli ultimi capitoli del libro suggeriscono che il cambiamento climatico, con il suo impatto sul ciclo idrologico, potrebbe accelerare la transizione nelle tradizionali sfere geopolitiche di influenza. Boccaletti, fisico di formazione, un dottorato alla Princeton University e un’esperienza di ricerca al Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, ha lavorato in diverse zone del mondo afflitte da gravi problemi ambientali.

Quando gli si chiede quale futuro ci aspetti, afferma che l’acqua è ancora concausa di attuali conflitti, non ultimo quello in Ucraina: «A partire dal 2014 Putin era tornato a essere uno dei primi tre produttori mondiali di grano grazie a una politica di grandi investimenti e di recupero di terreni. In seguito all’annessione della Crimea alla Russia in quell’anno, le autorità ucraine ridussero la portata del fiume Dnepr che fluiva nella Crimea. Ciò causò un crollo della raccolta di grano e altri prodotti agricoli in quella regione con gravi perdite economiche. Vi era così la necessità di conquistare nuovi territori».

Non è il solo esempio di come il problema dell’«oro bianco» contribuirà ad alimentare contese. Se molti conflitti del ventesimo secolo sono stati scatenati dal petrolio, è probabile che nelle prossime decadi saranno scatenati dall’acqua. Come il petrolio, anch’essa è controllata solo da alcuni Paesi, per esempio quelli che possono condizionare il flusso di fiumi e laghi verso stati più a valle.

«Tra i bacini a rischio ci sono quelli del Nilo e dell’Indo. Le acque del Nilo azzurro sgorgano da sorgenti che si trovano in Etiopia e raggiungono l’Egitto dopo aver attraversato il Sudan. C’è un potenziale rischio di tensioni, ma questi Paesi stanno al momento cooperando» spiega Boccaletti.

Non sappiamo però cosa potrà avvenire quando la domanda si sarà accresciuta e la disponibilità si sarà assottigliata a causa dei cambiamenti climatici e del maggiore utilizzo. Secondo uno studio di Nature, negli ultimi vent’anni la neve che, sciogliendosi, alimenta i maggiori fiumi dell’Asia si è ridotta del 16%. Con un aumento delle temperature limitato al grado e mezzo ci sarà un’ulteriore diminuzione del 6%, altrimenti il calo potrebbe raggiungere il 40%.

Gli effetti si vedono nel bacino dell’Indo che nasce nel Tibet, attraversa il Kashmir e scorre nel Pakistan per poi sfociare nel Mar Arabico. Rappresentando l’unica fonte di acqua dolce per un territorio arido, l’utilizzo di questo fiume è all’origine dei conflitti per il controllo del Kashmir tra India e Pakistan. «Tra le aree del pianeta dove i periodi di siccità saranno più frequenti e intensi vi è proprio il nord del Mediterraneo» aggiunge Boccaletti. Non è un caso che, come certifica l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), il Nord Italia stia soffrendo un periodo di siccità paragonabile a quello del 2017.

Significa che, se nei prossimi due mesi non ci saranno precipitazione significative e ripetute nel tempo, dovremo fronteggiare un grave deficit idrico. La situazione è particolarmente grave in Piemonte e nella Pianura padana ma anche in Toscana e in Sardegna, dove da oltre due mesi mancano quasi del tutto la pioggia e la neve sui rilievi. Sono i dati a parlare chiaro.

La capienza attuale dell’Arno è inferiore ai 13,70 metri cubi al secondo contro la media temporale del mese di febbraio, che è di 110,82 metri cubi al secondo. La portata del Po a gennaio nel Ferrarese era di circa 680 metri cubi al secondo, ora si avvicina pericolosamente a essere la metà della media del periodo. Quella dell’Adige sta segnando il record negativo di – 68%, il Brenta del – 66% e il fiume Natisone, in Friuli-Venezia Giulia è praticamente in secca.

In Emilia-Romagna e Liguria i torrenti hanno portate estive e il Tevere ha registrato sempre nuovi record con l’altezza idrometrica più bassa del decennio di quasi la metà della media. Anche il livello di molti laghi italiani certifica la siccità: il Lago Maggiore ha un’altezza di circa 80 centimetri inferiore alla norma del periodo e il bacino del Lago d’Iseo è riempito soltanto per il 13,6% della sua capacità.

«L’Italia dovrà prepararsi ad affrontare periodi siccitosi sempre più frequenti» dice Boccaletti. «Oltre a concentrarsi sulle infrastrutture, occorre ripensare l’agricoltura: per esempio, nella Pianura padana, il riso e le altre colture dovranno essere sostituite da specie a minore consumo idrico. Nella gestione dell’acqua il problema più grande dell’Italia è quello di una eccessiva divisione delle competenze. Le autorità di bacino, che dovrebbero favorirne l’integrazione, non hanno il potere di imporre le proprie strategie di pianificazione per utilizzare il patrimonio idrico».

Se con l’intensificarsi di fenomeni estremi come siccità e alluvioni, l’Italia fosse costretta a riforme istituzionali saremo di fronte all’ennesima prova che è l’acqua, prima di ogni altra cosa, a plasmare i modi di organizzare la nostra società.

© Riproduzione Riservata