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Nel laboratorio dove si studia l’energia del futuro

Nel laboratorio dove si studia l’energia del futuro

Fusione a confinamento magnetico, speciali dispositivi che convertono il moto ondoso, alberi fotovoltaici. Sono solo alcune delle innovazioni tecnologiche che è possibile scoprire visitando Eni 2050 lab: un polo tecnologico realizzato nell’ex Gazometro di Roma Ostiense.


L’innovazione passa attraverso le persone e trasforma i luoghi, valorizzandone le potenzialità. Così accade che all’ex Gazometro di Roma Ostiense – un contesto industriale realizzato negli anni Trenta per fornire energia a imprese e cittadini – abbia trovato casa Eni 2050 lab: nuovo polo tecnologico ed epicentro di un’operazione virtuosa grazie alla quale, accanto al recupero delle aree industriali dismesse con l’obiettivo di creare un vero e proprio «distretto dell’innovazione», Eni s’impegna ad aumentare la propria efficienza energetica e a ridurre l’impronta ambientale. Un impegno a 360° che negli ultimi sei anni ha portato il gruppo energetico italiano a investire oltre 7 miliardi di euro e rafforzare i suoi 7 centri ricerche e a stringere accordi con più di 70 università e centri di ricerca nazionali e internazionali, facendo leva su oltre 7 mila brevetti e 400 progetti R&D in corso.

All’interno dell’Eni 2050 lab ci sono una zona espositiva, un laboratorio a vista, un’area di monitoraggio dei parametri rilevati dalle tecnologie in fase di testing installate all’interno e all’esterno dell’edificio e uno spazio dedicato alla visualizzazione immersiva di modellistica avanzata che sfrutta le prestazioni dell’HPC5. Questo è il supercalcolatore ospitato nel Green Data Center di Eni di Ferrera Erbognone che, assieme a HPC4, il suo predecessore tutt’ora operativo, raggiunge una potenza di picco di oltre 70 PetaFlops (pari a 70 milioni di miliardi di operazioni matematiche svolte in un secondo). HPC5 è oggi il supercomputer non governativo più potente al mondo. Ma soprattutto, all’ex Gazometro è possibile conoscere da vicino alcune delle tecnologie adottate da Eni per la decarbonizzazione, attive sulle tre principali piattaforme di ricerca aziendali: rinnovabili e nuove energie, soluzioni per la decarbonizzazione, prodotti circolari e bio.

Fra i sistemi più promettenti per la produzione dell’energia sostenibile di domani, spicca la fusione a confinamento magnetico, con cui si punta a riprodurre sulla Terra la stessa forma di energia che alimenta le stelle, utilizzando il Tokamak (acronimo d’origine russa che significa «camera toroidale con bobine magnetiche»), il cuore della tecnologia il cui funzionamento è replicato in chiave concettuale in un modello esposto negli spazi dell’ex Gazometro. In sostanza, quando questa avveniristica tecnologia sarà applicata a livello industriale sarà possibile produrre una quantità di energia virtualmente inesauribile con un processo «intrinsecamente sicuro» (capace cioè di autoestinguersi qualora anche una sola delle condizioni necessarie per il processo di fusione venisse a mancare) e a zero emissioni.

Dalle stelle agli oceani. Tra le tecnologie per sfruttare le fonti rinnovabili esposte all’Eni lab c’è Iswek (Inertial sea wave energy converter): un sistema che permette di convertire il moto delle onde marine in energia elettrica, rendendola immediatamente disponibile per impianti off-shore o per fornire corrente a comunità costiere. Se si pensa che il 70 per cento della superficie terrestre è ricoperto da acqua (il potenziale sviluppato dalle onde del mare corrisponde a una potenza di 2 terawatt, che potrebbe tradursi in una produzione pari a quasi l’intero fabbisogno annuo di elettricità del pianeta) è facile intuire l’importanza che i sistemi per lo sfruttamento del moto ondoso possono arrivare a ricoprire.

La tecnologia Iswek, sviluppata da Eni insieme con lo spin off universitario torinese Wave for Energy, si basa sull’impiego di uno scafo galleggiante sigillato, che al suo interno contiene una coppia di sistemi giroscopici connessi ad altrettanti generatori. Le onde provocano il beccheggio dell’unità, ancorata al fondale, ma libera di muoversi e oscillare. Il beccheggio viene intercettato dai due sistemi giroscopici collegati a generatori che lo trasformano in energia elettrica. Lo sviluppo di biocarburanti innovativi è un altro fronte di interesse strategico per raggiungere i target in materia di ambiente, energia e clima fissati dalla Commissione Europea per il 2050. Grazie alla tecnologia Ecofining, messa a punto con Honeywell Uop, nel 2014 Eni è stata la prima energy company al mondo a trasformare una raffineria tradizionale – a Venezia – in una bioraffineria, e nel 2019 è stata la volta di Gela. Tramite Ecofining si ottiene Olio Vegetale Idrogenato (HVO): biocombustibile con un elevato numero di cetano, privo di composti aromatici, poliaromatici e di ossigeno che garantisce ottime prestazioni motoristiche. La materia prima per la produzione del biocarburante è rappresentata da oli non commestibili, scarti industriali, oli di frittura usati, grassi animali e altri bio-feedstock.

Dal 2022, inoltre, Eni ha avviato attività di ricerca e sviluppo per promuovere la coltivazione di «colture energetiche» non in competizione con la filiera alimentare e la riconversione dei sottoprodotti dell’agricoltura, dai quali si ricavano fertilizzanti, mangimi, biogas e biometano. Tra le innovazioni tecnologiche che si possono scoprire visitando l’area espositiva situata nell’ex Gazometro ci sono quelle che riguardano la Ccus (Carbon capture utilization and storage), una serie di processi che consentono di ridurre la quantità di CO2 presente o immessa nell’ambiente, separandola dagli altri gas per utilizzarla in applicazioni industriali o immagazzinarla nel sottosuolo. Eni investe in ricerca e innovazione su tutta la filiera della Ccus: dalla cattura allo stoccaggio al monitoraggio fino all’utilizzo dell’adnidride carbonica. In particolare, per quanto riguarda la fase del monitoraggio (che interessa il periodo di iniezione di CO2 in giacimento e in quello post iniezione) Eni ha messo a punto sistemi robotici operanti onshore oppure offshore; ne sono esempio il Clean Sea, un veicolo sottomarino autonomo per l’esecuzione di monitoraggi e ispezioni a carattere ambientale fino a 3 mila metri di profondità, e sistemi di droni aerei per l’ambiente terrestre. Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo dell’anidride carbonica catturata, Eni sta lavorando alla tecnologia della mineralizzazione: basata sulla reazione tra CO2 e alcuni minerali, consente di fissare in modo permanente grandi quantità di anidride carbonica sotto forma di prodotti inerti e non tossici.

A dimostrazione dell’impegno di Eni nel recupero delle aree industriali dismesse, valgano gli esempi di e-hyrec (eni-hydrocarbon recovery), un dispositivo a filtro accoppiato con una pompa in grado di prelevare in modo selettivo le contaminazioni oleose dalle falde acquifere e del Fitorimedio, tecnologia perfezionata con il Cnr di Pisa, che sfrutta la naturale capacità di alcune piante – dal girasole alle felci – di estrarre dal suolo i metalli pesanti e degradare i composti organici. Infine, passeggiando per il tecnopolo, s’incontra il Biobosco, una soluzione pensata per le zone urbane in cui la presenza di verde pubblico è limitata dalla carenza di spazio, che si basa sull’utilizzo di colonie di microalghe in grado di assorbire, anche in uno spazio di soli 10 metri quadrati, elevate quantità di anidride carbonica rilasciando ossigeno. Se poi gli alberi mancano del tutto, si può mettere a dimora un Solar Tree come quello «cresciuto» all’Eni 2050 lab: è una struttura in legno alta 4 metri, dotata di un fusto con uscite Usb, sei rami e 108 foglie costituite da un film polimerico fotoattivo (OPV), il fotovoltaico organico che cattura la luce e la converte in energia elettrica.

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