Prestiti concessi in tempo reale, acquisto e vendita di «frammenti» di azioni, assicurazioni, criptovalute, conti correnti anche per i bambini. Così Nik Storonsky sta costruendo Revolut, la banca digitale che sfida gli istituti tradizionali.
Anziché lasciarlo alle spalle, Nik Storonsky il passato se l’è tenuto accanto, a portata di sguardo: lo scruta ogni giorno dai suoi uffici di Canary Wharf, il quartiere degli affari di Londra, tutto grattacieli e un senso insopprimibile di finto nelle strade semivuote.
Dalle finestre vede la sede di Credit Suisse, dove ha lavorato come trader, uno fra tantissimi. Quel paesaggio, più che di una rivincita, è il continuo promemoria di un superamento, l’affermazione di una cesura: Storonsky è diventato miliardario demolendo le prassi di una banca tradizionale, strizzandone i servizi in una app, aggiungendone molteplici di inediti, dalle criptovalute agli acquisti di pezzetti di azioni, più abbordabili quando quelle intere costano troppo. E poi prenotazioni di hotel, assicurazioni, benefit in tempo reale (l’aereo fa un’ora di ritardo? Si ha accesso gratuito a una lounge), vari corollari in rampa di lancio, dai prestiti ai pagamenti a rate.
La sua creatura è Revolut, gigante della fintech, la finanza aggiornata dalla tecnologia. Conta oltre 18 milioni di clienti globali, 650 mila in Italia, gestisce 150 milioni di transazioni al mese, vanta una valutazione da 33 miliardi di dollari. Il suo ceo ha cominciato da zero, distribuendo di persona carte di debito nelle caffetterie e nelle metropolitane della capitale inglese; dall’Europa oggi è arrivato fino in Australia, Stati Uniti, Giappone, Singapore. Presto in India, Brasile, Messico: la traiettoria di una banca digitale globale.
Cittadino britannico originario della Russia, è il manifesto vivente di una pace possibile: sia suo padre che il principale socio, il direttore tecnico Vlad Yatsenko, sono ucraini. «Per me la guerra è terribile e assurda» ha scritto di recente in una lettera aperta. Modi schivi ma schietti («il 95 per cento degli altri fondatori ti prenderà in giro, io non lo farò» ha detto una volta a un giornalista del Financial Times), accoglie Panorama con addosso una camicia tenuta fuori dai pantaloni. La giacca di pelle rimane sulla sedia, di fronte a una cintura di quattro schermi, tre fissi, uno di un pc portatile: la plancia di controllo di un impero in costruzione.
Storonsky sembra di ottimo umore, nonostante la stanchezza evidente, simbolo di una predilezione per lo stakanovismo (e di un party con la squadra vendite la notte prima): si racconta che arrivi in ufficio alle 8 del mattino e spesso rimanga la sera fino alle 10. Pare il requisito minimo per la missione che vuole compiere: scalzare dal trono la finanza vecchia scuola. «Non abbiamo ancora vinto» dirà serio a un certo punto.
Come pensa di riuscirci?
Dobbiamo lavorare in maniera più intelligente e con maggiore intensità rispetto alle banche tradizionali. Non abbiamo risorse a sufficienza rispetto a loro e gli enti regolatori continuano a proteggerle.
Quindi resisteranno?
Hanno capito che devono cambiare, che è necessario migliorare l’esperienza degli utenti e ridurre le commissioni. Stanno facendo alcuni passi in avanti, non abbastanza. Mantengono un vantaggio competitivo grazie ai capitali che gestiscono. Non durerà.
Cosa prevede?
Un consolidamento generale nell’industria da qui ai prossimi anni. Gli istituti storici perderanno una quota significativa, non saranno più migliaia, ne resteranno una decina. E lo stesso avverrà per le società fintech. Di fatto, sono banche digitali che forniscono i principali servizi finanziari a una frazione del costo.
Con che criterio decide di includere o escludere opzioni supplementari?
La convenienza. Siamo partiti eliminando le commissioni per le spese in altre valute (oggi ne sono supportate più di 150, ndr), facendo risparmiare ai nostri clienti fino a 50 euro ogni 1.000 spesi. Un problema risolto anche per chi voleva acquistare azioni in dollari e aveva un conto in sterline. Abbiamo trasformato in cashback, in denaro ridato indietro, la quota trattenuta dalle grandi piattaforme di prenotazioni alberghiere: basta passare da noi quando si sceglie una stanza. Non abbiamo visto lo stesso vantaggio economico nella prenotazione dei ristoranti, perciò abbiamo lasciato perdere.
C’è grande interesse attorno ai prestiti concessi in tempo reale, sempre tramite app. Ci arriveremo?
Abbiamo già lanciato il servizio in tre mercati. Possiamo garantirli in 10, 15 secondi dalla richiesta. Lo stesso avviene per i pagamenti a rate: al momento dell’acquisto, è possibile per esempio decidere di versare una parte dell’importo subito, un terzo dopo due settimane, la frazione restante entro un mese.
Non si rischia di spendere più di quanto ci si possa permettere, ritrovandosi in difficoltà?
È un meccanismo simile alla carta di credito, ben regolato e reso più semplice dalla tecnologia. Per ogni persona verifichiamo se è in grado di restituire la somma in base al suo reddito e incrociando altre variabili. Se così non è, la transazione non viene autorizzata.
A voler essere critici, l’impressione è che non vi poniate limiti. Avete lanciato anche una carta per i bambini dai 6 anni in su. Non è troppo presto?
Abbiamo già due milioni di conti junior attivi. Sono stati molti genitori ad avercelo chiesto. Il nostro approccio è dare un prodotto ai clienti e lasciare loro piena libertà di manovra. Il concetto è simile al «parental control» di uno smartphone: si possono impostare tetti di spesa, monitorare le transazioni dei ragazzi, bloccarne di specifiche, come gli alcolici.
Avete anche carte colorate e dai design personalizzabili. Servono ad attrarre il pubblico più giovane?
Le banche non dovrebbero essere noiose, né troppo serie o fredde. Abbiamo preferito darci una personalità. La vostra filosofia è incentrata sul pragmatismo. Laggiù su un pannello è scritto a caratteri cubitali «Get shit done». Una maniera un po’ volgare e molto diretta per ribadire quanto sia necessario darsi da fare. Mi sembra un utile promemoria. Non è sano lasciarsi paralizzare dalle analisi. Pensare è giusto, non per sempre. Si deve passare all’azione.
Come si bilancia con il motto che leggo sulla sua tazza, «Deliver wow», il proposito di realizzare qualcosa di stupefacente?
Non accontentandosi mai. Proseguendo, migliorando, fino a quando non ci s’innamora del risultato. Molte compagnie lanciano un prodotto e poi smettono di lavorarci sopra. Non è il nostro caso.
Paiono precetti su misura per un ragazzo che voglia ripercorrere la sua strada. Da dove gli consiglierebbe di partire?
Sbrigandosi: prima è meglio di dopo. Aggiungerei di essere molto logico nelle sue mosse: si comincia da un’idea, ma va tradotta in una domanda reale del mercato. Infine, è opportuno fare errori e trarne profitto. Dai continui aggiustamenti si genera un grande business. Sono sinceramente convinto che quasi nulla sia impossibile.
