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Rapporto ICE: nel 2024 lieve calo dell’export italiano, ora pesa l’incognita dei dazi

Rapporto ICE: nel 2024 lieve calo dell’export italiano, ora pesa l’incognita dei dazi

Il Rapporto ICE 2024-2025, presentato oggi a Roma, rivela dati chiave su export, rischi legati ai dazi USA e sulla tenuta del sistema produttivo italiano.

«La competitività dell’Italia passa dalla sua capacità di internazionalizzazione». E’ stato questo il tema centrale della presentazione, tenutasi oggi a Roma, del Rapporto ICE 2024-2025, alla presenza del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, del Presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice) Matteo Zoppas e di Francesco Maria Chelli, Presidente Istat. Un appuntamento annuale che, affiancato all’Annuario statistico ISTAT-ICE, fotografa la posizione del nostro Paese nell’economia globale, tra progressi, fragilità e sfide sistemiche.

Il contesto globale

Si potrebbe affermare, senza esagerare, che ci sia un “prima” e un “dopo” dazi. Il Rapporto ICE di quest’anno descrive un’economia mondiale che, nel 2024, ha mostrato una certa stabilizzazione, con una crescita del Pil globale che si è attestata al 3,3%. L’inflazione è calata e l’occupazione è tornata ai livelli pre-pandemici. L’Ue si conferma primo esportatore mondiale (16,3%), seguita da Cina (14,8%) e Stati Uniti (11,6%).

Se il 2024 aveva segnato un ritorno ad una quasi normalità, i primi mesi del 2025 sono stati all’insegna dell’incertezza, a causa dei conflitti geopolitici e, soprattutto, dell’introduzione dei nuovi dazi statunitensi. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita mondiale per il 2025, ora al 2,8% e per il commercio internazionale, all’1,7%.

La crisi dei traffici marittimi, con tariffe quadruplicate per i container rispetto al 2023, testimonia un sistema in fibrillazione. L’Omc stima per il commercio di servizi una crescita dimezzata rispetto all’anno precedente. Anche per questo, le economie avanzate cercano nuove alleanze e accordi commerciali; è il caso dell’accordo Ue-Mercosur, firmato nel dicembre 2024, ma non ancora ratificato.

L’Italia nel panorama Internazionale

In questo scenario turbolento, l’Italia si conferma un attore solido. La crescita del Pil si è stabilizzato allo 0,7% (evitando cadute stile Germania), mentre le esportazioni, pur subendo una lieve flessione dello 0,4% nel 2024 (623,5 miliardi di euro), restano in crescita del 30% rispetto al 2019. A pesare è soprattutto il crollo delle vendite verso la Germania (-5%), affiancato da un calo più marcato in Cina (-21%) e negli Usa (-3,6%).

Ma la fotografia non è uniforme. I cali nei settori della moda, dei mobili, dei beni intermedi e dei mezzi di trasporto sono stati bilanciati da aumenti nelle esportazioni alimentari, chimico-farmaceutiche, ICT e gioielleria (quest’ultima +39%, spinta dalla domanda turca). La propensione all’export, pari al 31%, si conferma stabile, anche se inferiore rispetto alla Germania.

Particolarmente rilevante è il ruolo delle micro, piccole e medie imprese (MPMI), che rappresentano il cuore pulsante dell’export italiano. Oltre 84mila imprese esportano in modo continuativo, con le grandi aziende responsabili del 50% delle esportazioni, mentre le MPMI contribuiscono con un quinto. La loro capacità di adattamento alle mutate condizioni globali rappresenta una risorsa strategica.

Il Piano d’Azione per l’export italiano enfatizza la diversificazione geografica dei mercati di sbocco, orientandosi verso aree extra-UE ad elevato potenziale di crescita (India, Messico, Brasile, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, paesi ASEAN, Africa e Balcani occidentali), e rafforzando la presenza in mercati consolidati.

L’Impatto dei Dazi Usa

Ora lo spartito cambia. Si delinea un nuovo scenario, che desta preoccupazioni da qualche mese a questa parte. E l’Italia, avverte il report ICE, rischia. «L’analisi della vulnerabilità del sistema esportatore italiano di fronte alla svolta protezionistica dell’amministrazione statunitense ha consentito di individuare un insieme di oltre 6mila imprese, con oltre 140mila addetti, esposte in modo diretto a rischi potenziali elevati», si legge nel documento.

Si tratta in gran parte di piccole e medie imprese con governance domestica, spesso fortemente legate al mercato americano e prive della flessibilità operativa e delle risorse delle grandi multinazionali. I settori più a rischio includono le bevande, la farmaceutica, i mobili, la fabbricazione di prodotti in metallo, il commercio al dettaglio e gli altri mezzi di trasporto: comparti che da soli generano oltre 11 miliardi di euro di export verso gli Stati Uniti. Ma le implicazioni vanno oltre.

«Le barriere tariffarie colpiscono non solo i prodotti finiti, ma mettono sotto pressione le filiere produttive globali, aumentando i costi, rallentando i tempi di approvvigionamento e comprimendo i margini». Insomma, l’incertezza generata dalle bagarre daziarie minano la competitività delle imprese italiane e rischia di isolare progressivamente il sistema manifatturiero nazionale dal cuore pulsante del commercio mondiale. Un motivo in più per trovare al più presto una soluzione negoziale con Washington.

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