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Che cosa si può fare con 10 miliardi di euro?

Che cosa si può fare con 10 miliardi di euro?

È la somma che Exor avrà in cassa dopo la cessione di Partner Re e la finalizzazione della fusione tra Fca e Psa. Una cifra enorme che John Elkann e la famiglia Agnelli dovranno impiegare. Per ora, solo un «assaggio» nell’editoria con Gedi. Ma i piani sono ambiziosi…


Che cosa fareste trovandovi in tasca d’improvviso, quasi 10 miliardi di euro? È un busillis che di certo farebbe girare la testa a qualsiasi essere umano. Non è improbabile, però, che la prospettiva riesca ad agitare i pensieri anche (e perfino) al blasonatissimo imprenditore che quell’immenso patrimonio dovrebbe ricevere sul conto corrente della finanziaria di famiglia: John Elkann.

L’incredibile pioggia di miliardi è il frutto di una serie di operazioni che da qualche mese si sta concentrando proprio su Exor, la società per azioni fondata nel 2009 e considerata la «cassaforte» degli eredi Agnelli. L’ultimo annuncio riguarda la probabile cessione di Partner Re, il colosso statunitense delle assicurazioni. A metà febbraio si è scoperto che Exor sta trattando per la cessione di Partner Re al gruppo parigino Covéa, e del negoziato è stata subito data conferma, anche se avvolta nella tipica prudenza torinese: «Non c’è alcuna certezza che vada in porto». Si sa che i francesi hanno offerto 9 miliardi di dollari, circa 8,3 miliardi di euro. Se si arriverà alla firma, insomma, sarà il classico affare d’oro per Exor, che nel 2016 aveva acquisito il 100% di Partner Re per 6,7 miliardi di dollari. Se si considerano i 660 milioni di dollari di dividendi staccati nel frattempo da Partner Re, la cessione potrebbe generare una plusvalenza sui 3 miliardi di euro in tre anni: il 30,4 per cento in più dell’investimento iniziale.

Ma Partner Re è soltanto l’ultimo capitolo. È da almeno nove mesi che Exor continua a macinare affari e incassi. A partire dal maggio 2019, quando la «cassaforte degli Agnelli» aveva venduto la Magneti Marelli a Calsonic Kansei, gigante giapponese dei componenti per auto a un prezzo di 6,2 miliardi di euro. Ma la pioggia continua, incessante, perché ora è in pieno svolgimento la fusione tra Fiat Chrysler Automobiles (Fca), controllata quasi al 29% da Exor, e il gruppo francese Peugeot-Citroën. Avviata tra novembre e dicembre, l’operazione Fca-Psa dovrebbe chiudersi entro il 2020.

In questo caso, in gioco non è la vendita del pacchetto detenuto da Exor, bensì il controllo operativo di Fca: alla fine, Psa dovrebbe avere sei membri del consiglio d’amministrazione su 11, e il suo amministratore delegato Carlos Tavares diverrà leader del nuovo gruppo. Anche la sede operativa si sposterà a Parigi, mentre John Elkann conserverà la presidenza. Ma il matrimonio francese genererà un nuovo importante flusso di cassa per Exor e per i suoi azionisti. Il Sole 24 Ore ha calcolato che riceveranno un dividendo straordinario da 5,5 miliardi di euro, più un «cedolone» ordinario da 1,1 miliardi: quindi, in totale, 6,6 miliardi. Ai quali si aggiungerà il premio che il gruppo francese intende riconoscere ai nuovi soci, e cioè altri 7 miliardi «cash». Dunque, per tutti gli azionisti di Fca la fusione alla fine varrà 13,6 miliardi: e per Exor, che di Fca controlla il 28,9 per cento, l’incasso sarà di oltre 3,9 miliardi tra dividendi (1,9 miliardi) e premio (2 miliardi).

Proviamo a tirare una riga, dopo questo turbinio di vendite e di operazioni d’alta finanza? Il totale finale dei possibili incassi, per la «cassaforte degli Agnelli», dovrebbe essere di 18,4 miliardi di euro. La quota spettante agli eredi di Gianni, un centinaio e più di azionisti suddivisi nei vari rami Agnelli, Elkann, Nasi e Camerana, sarà di più della metà: tutti insieme controllano quasi il 53 per cento di Exor attraverso la Giovanni Agnelli Bv, la società con cui nel 2016 hanno spostato ad Amsterdam la sede fisica del gruppo, e John Elkann, che in questa generazione è il capofamiglia, è il singolo azionista principale. Per dirla grossolanamente, insomma, la quota degli Agnelli dovrebbe essere sui 9.700 milioni di euro: quasi 10 miliardi.

Come utilizzeranno questa cifra clamorosa? Una mossa l’hanno già fatta. È vero che vale poco più di 100 milioni, quindi è piccola rispetto ai super incassi in arrivo, ma è molto significativa: è l’acquisizione di Gedi, la casa editrice che controlla Repubblica, Stampa e Secolo XIX, più 13 giornali locali e tre radio (tra cui Capital e DeeJay). Ai primi dello scorso dicembre, Exor ha concordato con la Cir della famiglia De Benedetti di acquisire il controllo di Gedi, di cui fino a quel momento era azionista al 5,9%. L’operazione dovrebbe chiudersi entro marzo, col via libera dell’Antitrust europeo (a Roma l’Autorità garante per le comunicazioni ha già detto sì un mese fa): a quel punto, per 102,4 milioni, la Cir cederà a Exor la sua quota di maggioranza relativa, il 43,7 per cento, ed Exor creerà una nuova società per lanciare l’Offerta pubblica d’acquisto obbligatoria sul capitale rimanente di Gedi, poco più del 50%.

Dell’operazione Gedi molti osservatori hanno dato una spiegazione strategico-difensiva, cioè che Exor abbia bisogno di media in grado di proteggerne l’immagine se e quando dovessero arrivare in Italia i contraccolpi della fusione Fca-Psa su fabbriche e occupazione. Si vedrà. È certo che il rafforzamento nella carta stampata con Gedi, pur se a latitudine diversa, fa il paio con quella che spinse Exor ad acquisire il controllo dell’Economist, il mitico settimanale britannico comprato nel 2015 per 405 milioni.
E adesso? Quali altre mosse faranno Elkann e soci? All’Investor day di Exor lo scorso 22 novembre, quando l’operazione Partner Re non era emersa, Elkann aveva annunciato il proseguimento della «lunga politica di dividendi», che negli ultimi 10 anni ha visto Exor distribuirne per 1,2 miliardi, ma aveva aggiunto che «non sono previste distribuzioni straordinarie». Elkann aveva accennato anche al debito, attualmente sui 3,4 miliardi: «Nel prossimo decennio vorremmo continuare a ridurne il costo».

Insomma, tutto e il suo contrario. Anche gli analisti di Borsa sono alla finestra, incerti. Quelli di Ubs propendono per la tesi che Exor distribuirà un dividendo straordinario. Quelli di Mediobanca sottolineano, all’opposto, che «il management ha ribadito l’intenzione di investire in nuove opportunità». Due mesi fa, in effetti, il leader degli eredi Agnelli aveva annunciato nuovi investimenti: «Continueremo a costruire grandi aziende», aveva detto Elkann, «e nei prossimi 10 anni ne compreremo di nuove», sottolineando di guardare «soprattutto al mercato asiatico», dove poi è però scoppiata la temibile epidemia di coronavirus.

Insomma, c’è da attendersi un’intensa campagna di acquisizioni. Ma in quali settori? In realtà, una diversificazione di Exor, poco appariscente ma importante, è in atto da due anni. Dal 2018, in silenzio, la finanziaria ha accumulato partecipazioni nell’industria mineraria. E la spesa non è stata piccola: oltre mezzo miliardo di dollari. Nel gennaio 2018, attraverso il fondo Exor Investments, la «cassaforte degli Agnelli» ha rastrellato azioni della sudafricana Sibanye-Lonmin, produttore di platino, palladio e oro. L’investimento, 300 milioni di dollari, punta su materiali che hanno prospettive centrali nell’industria dell’auto grazie ai propulsori del futuro: motori elettrici e ibridi.

Exor ha poi investito almeno 200 milioni in altre cinque società minerarie: la Harmony gold, proprietaria d’immensi giacimenti d’oro in Sud Africa; l’americana NovaGold resources, attiva nell’oro dell’Alaska; la canadese Cameco corporation, primo estrattore mondiale di uranio; la VanEck, multinazionale mineraria con sede a New York. Con un’ultima operazione, di cui s’ignora il valore, nel marzo 2019 Exor ha acquisito una quota della canadese New gold, che ha miniere d’oro e rame nelle due Americhe. Forse è qui che andrà a finire, almeno in parte, la pioggia di denaro che sta per cadere su Exor.

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