La quarantena ha sparigliato vita e consumi. Così il gigante dell’e-commerce ha ripensato la filosofia del suo business: «Abbiamo rallentato e ci siamo alleggeriti. Ai nostri clienti abbiamo chiesto una cosa per noi inedita: di avere pazienza» dice la country manager dell’Italia Mariangela Marseglia. Il futuro? «Al centro degli acquisti online resterà la persona con i suoi desideri».
Nel flusso degli ordini si leggeva la gerarchia dei bisogni stravolta: per settimane, ai vertici delle classifiche di vendita, hanno troneggiato manuali ad alto tasso di spiritualità, strumenti per allenarsi, cucinare, lavorare, studiare o rendersi, nell’aspetto, quantomeno presentabili. Amazon è stata il riflesso del subbuglio, lo specchio delle nuove priorità di un Paese in quarantena. E, a un certo punto, si è ritrovata costretta a stravolgersi. A tradire l’anima ipercinetica del commercio, a tirare il freno: «Abbiamo rallentato. Abbiamo fatto, scientemente, qualcosa di paradossale. Di opposto all’impostazione, alla velocità del nostro business. Almeno per le categorie non necessarie, abbiamo chiesto ai clienti di avere pazienza. Chi voleva una lavatrice o un televisore da 50 pollici poteva aspettare, chi cercava disinfettanti o generi alimentari, no» racconta spedita Mariangela Marseglia, salentina, in azienda dal primo giorno del lancio del servizio lungo lo Stivale (era fine 2010), da due anni alla guida dell’Italia e della Spagna.
Marseglia ha accumulato esperienze in varie multinazionali, «sebbene» dice «gli ultimi tre mesi sono stati fuori categoria. Sono stati i più complessi e istruttivi degli ultimi 20 anni». Non è difficile crederle.
Cominciamo dalla fine. Cosa non sarà più lo stesso?
Prima l’e-commerce valeva circa il 7 per cento del retail. Una quota patetica. Scontavamo vecchie resistenze legate ai timori per la sicurezza dei pagamenti, eravamo ancora fermi all’epoca delle carte prepagate. Uno strumento rudimentale, che suggerisce un messaggio sbagliato: «Tu metti questi soldi qui, di più non ti posso rubare». Durante la pandemia c’è stato un deciso avvicinamento al digitale, l’urgenza ha spinto alla fiducia. Da gennaio a maggio due milioni di italiani hanno scoperto l’e-commerce nelle sue diverse accezioni, dalla consegna del cibo all’acquisto di prodotti. E tanti sono over 55. Hanno sperimentato in prima persona, capito che non c’è ragione di essere diffidenti. Non credo si tornerà indietro. Sarà come con Facebook: molti genitori hanno creato un profilo per spiare i figli. E sono rimasti a bordo, hanno continuato a usarlo.
Amazon è in grado di orientare gli acquisti, di suggerire ai clienti prodotti in linea con i loro gusti. Come si può gestire questo potere con responsabilità?
In verità non orientiamo l’acquisto, lo rendiamo più facile. Ce l’ha dimostrato l’emergenza, durante la quale abbiamo tolto le funzioni di personalizzazione dal sito per limitare il riempimento dei carrelli. Il risultato non è stato quello che pensavamo: i clienti si sono lamentati. Hanno detto che i prodotti li avrebbero trovati comunque, cercandoli. La gente sa quello che vuole, l’idea ce l’ha in testa.
Visto il decollo della domanda, vi si spalanca di fronte una gigantesca sfida logistica. Come vi attrezzerete per sopportare più consegne?
Un ulteriore efficientamento della rete sarà una conseguenza inevitabile dei nuovi flussi. Però abbiamo fatto investimenti enormi tra magazzini, centri di smistamento e stazioni di consegna. Non esiste una zona del territorio che non sia coperta, arriviamo anche a Lampedusa. E la concorrenza, la competizione che abbiamo generato, ha fatto migliorare la logistica in tutto il Paese.
Resta un punto dolente: l’inedito traffico di merci provocherà molto inquinamento. Come si coniuga un consolidamento dell’e-commerce con la sua sostenibilità ambientale?
Dico di più: con il prezzo del petrolio che è crollato, inquinare diventa persino più economico. Ma non è saggio né prudente ragionare nel breve periodo. Abbiamo l’obiettivo di arrivare a emissioni zero sul 50 per cento delle spedizioni entro il 2030, quando avremo a disposizione tutti i 100 mila veicoli elettrici che abbiamo ordinato per le consegne. Quando si può mantenere l’integrità del prodotto con il suo imballaggio originale, già adesso abbiamo eliminato le scatole e cerchiamo di riciclare il più possibile. Intendiamo diventare carbon neutral in tutte le nostre attività dieci anni in anticipo rispetto agli accordi di Parigi.

Prima che un ciclopico centro commerciale con centinaia di milioni di prodotti, siete un’azienda tecnologica. State lavorando a varie soluzioni, per esempio per misurare virtualmente scarpe e abiti a casa dal telefonino. L’Italia le sembra pronta per abbracciare tali innovazioni?
Sono convinta che il cliente italiano non sia diverso da quello americano, inglese o cinese. Il discorso va fatto sul piano dell’offerta, non della domanda. Se ci sarà un modo di ordinare più facilmente un prodotto della taglia giusta, di vivere online un’esperienza soddisfacente e diversa dal passato, non vedo perché non bisognerebbe approfittarne. Lo stesso vale per l’opzione di far arrivare a casa un capo, provarlo e poi restituirlo gratuitamente. Ha senso specie oggi che andare in un negozio tradizionale e indossare un abito in un camerino è faticoso e un po’ rischioso, viste le esigenze di sanificazione.
È consapevole che il suo ragionamento farà arrabbiare, e parecchio, quei negozi tradizionali di cui parla?
Non dovrebbero. Ne ho un grandissimo rispetto e sono una parte enorme del nostro fatturato. Più della metà dei prodotti che proponiamo arriva da terze parti, siamo il loro canale di vendita. Il mio ragionamento è che certe cose non possiamo più farle come prima, ce lo impongono i decreti e il buon senso. Se un processo è un pericolo per la salute, meglio cambiarlo. Tutto il sistema moda è un’industria cruciale per il made in Italy e spero possa abbracciare il digitale come una delle strade per andare oltre la crisi.
La grande e accogliente vetrina di Amazon non è immune da abusi. Durante l’emergenza i prezzi di mascherine e disinfettanti sono schizzati alle stelle.
Qualsiasi speculazione è intollerabile. Investiamo milioni di dollari in tecnologia e persone per monitorare fenomeni di questo tipo e intervenire. Ancor prima dell’inizio della pandemia, con i primi casi in Cina, abbiamo aggiustato i sistemi e, in pochi giorni, eliminato oltre mezzo milione di offerte e bloccato più di 6 mila account di venditori che volevano approfittare del momento.
Ritorna l’elemento tecnologico, cruciale e inevitabile nella vostra visione. Pensa che il suo peso aumenterà nel ridefinire le dinamiche dello shopping futuro?
L’e-commerce è un potenziamento del cliente. È uno strumento a sua disposizione. Non credo che nei prossimi anni cambierà il rapporto di forze tra sito e utente. Al centro resterà la persona con i suoi bisogni e desideri. È questo il concetto della tecnologia che mi piace: la sua capacità di essere uno strumento di facilitazione per l’uomo. Che deve servirsene, senza farsi dominare.
