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Esclusivo Casamicciola: la relazione che aveva previsto tutto

Esclusivo Casamicciola: la relazione che aveva previsto tutto

L’alluvione di Ischia ha seguito lo stesso percorso del 2009. E di tragedie simili a inizio Novecento. Il geologo Roberto Landolfi aveva evidenziato il forte rischio di reiterazione in una perizia di tre anni fa, ma nessuno ha fatto nulla.


È il 2019 quando il perito del Tribunale di Napoli, il geologo Roberto Landolfi, nella sua relazione finale nel processo a carico di amministratori e funzionari di Casamicciola per la morte della giovanissima Anna De Felice, uccisa da un’alluvione nel 2009, ipotizza: «Oggi, a distanza di quasi 10 anni dall’evento, l’area in esame, che comprende la zona a monte dell’abitato di Casamicciola e quella urbana che fu invasa dalle colate rapide, resta a rischio di frana e idraulico con la consapevolezza scientifica che lo stesso episodio […] possa ripetersi». Il 26 novembre 2022 la «consapevolezza scientifica» ha assunto le orribili sembianze di una cascata di fango che ha travolto il piccolo Comune dell’isola di Ischia (Napoli) abbattendosi proprio negli stessi punti martoriati dalle piogge nel lontano 2009, e provocando 11 morti, compresa un’intera famiglia con tre bimbi piccoli, e un disperso.

E ancora dalla perizia: «La stessa area in esame rimane […] sempre con le stesse criticità idrogeologiche dovute a un rischio molto elevato […] con l’unica differenza che oggi si conosce il fenomeno […] che potrebbe, durante giorni di intensa piovosità, invadere nuovamente le stesse zone urbane creando gli stessi danni se non maggiori e purtroppo gli stessi, se non maggiori, effetti sulla pubblica e privata incolumità».

Da tre anni esiste, quindi, un documento ufficiale – allegato agli atti del procedimento conclusosi poi in Appello col proscioglimento per prescrizione dell’unico imputato condannato – che certifica l’assoluto deficit di sicurezza nel Comune isolano e la mancanza totale di prevenzione con adeguate opere di contenimento del rischio. Omissioni che non hanno smosso né la politica né la burocrazia a intervenire. Nella sua attività di indagine e analisi per conto dei giudici, Landolfi ha scoperto però qualcosa di più. «Chiesi a Regione Campania, Città metropolitana di Napoli e Comune di Casamicciola» rivela a Panorama «copie dei progetti antecedenti il 2009, eseguiti e non eseguiti, contro il rischio frana e idraulico».

Dopo un po’ di tempo arrivò la risposta della Direzione generale Lavori pubblici di Palazzo Santa Lucia, sede della Giunta regionale. «Mi informarono che non risultavano progetti esecutivi di opere collaudate e realizzate prima del 2009. In pratica, dal 2009 al 2019, quando si è conclusa la mia perizia, non sono state eseguite opere strutturali di messa in sicurezza nonostante la tragedia della giovane Anna De Felice». Abituato ad andare al cuore della materia, Landolfi – geologo applicato per la tutela dell’assetto idrogeologico per il rischio frana – non si accontentò della risposta, e decise di esaminare tutti i progetti di mitigazione del rischio e messa in sicurezza, anche non depositati al Genio civile, forniti da Città metropolitana e Comune di Casamicciola.

«I progetti definitivi erano sei» prosegue «e di questi solo due giunsero allo stadio esecutivo. Di altri due non fu ultimato l’iter autorizzativo in quanto non fu possibile avere il parere obbligatorio dell’Autorità di bacino». Il motivo è che l’ente recriminava «la carenza di documentazione» che doveva essere integrata agli atti e al contrario non arrivò mai. Altri due progetti, invece, gli furono negati, chissà perché. «Non ebbi modo di visionare la parte progettuale per poterne valutare l’efficienza» sottolinea. Per i due soli progetti approvati furono stanziati poco più di mezzo miliardo di lire agli inizi del 2000 e 3 milioni di euro nel 2008. Insomma, secondo Landolfi, «a Casamicciola dal 1919, quando c’è stata la prima tempesta di fango di cui si abbia documentazione fotografica, a oggi sono stati eseguiti solo questi due interventi, oltre ai pochi altri successivi al 1910».

Che effetti queste infrastrutture abbiano avuto sulla sicurezza sull’isola, però, non è dato sapere. «Di entrambi i progetti» conferma «non c’è traccia» sul terreno. Non è peregrino immaginare che «forse sono stati distrutti dalle precedenti colate e, in ogni caso, si sono rivelati inadeguati e inefficienti». Il che significa che per Casamicciola non esiste «alcun intervento strutturale di mitigazione e di messa in sicurezza del territorio che tuteli la pubblica e privata incolumità», nonostante da ormai più di un secolo sia nota la pericolosità estrema del territorio.

La tempesta di fango di fine novembre scorso sembra aver seguito lo stesso percorso di quelle avvenute nel 1910 e nel 2009, come dimostra – per l’ultima circostanza – il ribaltamento dell’edicola di Piazza Bagni; allora come oggi, aggiunge Landolfi, «il punto di massima invasione […] e di confluenza delle due colate rapide provenienti dagli alvei Fasaniello e Sinigallia». Colate che, generatesi nella parte alta (circa 600 metri) del Monte Epomeo, hanno a un certo punto raggiunto la velocità di 17 metri al secondo. Un proiettile di acqua, detriti e rocce che non è stato possibile governare o arginare.

Perché? «I canali tombati, che avrebbero dovuto trasferire le acque pluviali nel sottosuolo, già nel 2009 erano ostruiti da materiale detritico e da arbusti» evidenzia l’esperto del Tribunale di Napoli, «sicché le colate rapide hanno avuto gioco facile a bypassarli e invadere e devastare le zone urbane». I canali, infatti, sono «sottodimensionati, inefficienti e inadeguati a sopportare il trasporto solido degli ultimi eventi alluvionali» e soffrono da sempre di «scarsa manutenzione e pulizia». Come peraltro denunciato nella stessa relazione. C’è da aggiungere, poi, che la cartografia sulle aree di rischio di Casamicciola non solo non risulta aggiornata, ma anche cervellotica.

Il rischio compare e scompare, nel giro di poche decine di metri, sui documenti dell’Autorità di bacino. Una stessa porzione di territorio, nella zona del Celario, da una parte è segnata come potenzialmente pericolosa e dall’altra è invece considerata al sicuro. Riuscire a orientarsi in questo contesto non solo è difficile ma rischia di rivelarsi addirittura inutile. Tant’è che gli sfollati pretendono di ritornare nelle case abbandonate in fretta e furia perché si trovano fuori dalla «zona rossa». Carte alla mano, hanno ragione. Ma la situazione non è così semplice. Ennesimo cortocircuito di una maledizione – evitabile – che dura da oltre cent’anni.

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