Con le testimonianze dirette dei protagonisti e documenti esclusivi si conclude la ricostruzione di Panorama della vicenda della cooperativa per l’assistenza di minori toscana. Un’agghiacciante galleria di soprusi psicologici, di violenze fisiche e sessuali, che per troppo tempo la giustizia ha ignorato.
Potrebbe essere un’appendice, nera, dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Un secolo fa, riportando gli epitaffi di 200 lapidi immaginarie, il poeta americano aveva dato voce ai defunti di una cittadina-che-non-c’era. Oggi, con le storie del Forteto, si potrebbe fare un’antologia diversa, meno romantica e molto più inquietante. Perché queste lapidi descrivono fatti reali e terribili: raccontano la vita di decine di bambini e ragazzini trasformati in sudditi di una comunità-setta dove gli stessi adulti finivano in schiavitù psicologica, mentre i piccoli ospiti venivano sistematicamente sottoposti a sevizie e abusi sessuali. Senza alcuna difesa.
Sono tanti, i bambini ingoiati dal Forteto, la cooperativa agricola fondata nel 1977 nelle campagne vicino a Firenze da Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi, sedicenti psicologi, di cui abbiamo parlato nelle scorse due puntate della ricostruzione di Panorama. Bimbi fragili, con handicap psicofisici, o con un passato di disagio sociale, di maltrattamenti, di abusi. Ad affidarli alla comune/setta per ben 35 anni, fino al 2012, è stato il Tribunale dei minori che paradossalmente avrebbe dovuto proteggerli. E sono così tanti che nessuno nemmeno sa dirne il numero. L’Associazione delle vittime, presieduta da Sergio Pietracito, raccoglie alcune decine di quegli ex ospiti involontari e calcola un totale impressionante: almeno 86.
Le loro storie descrivono povere esistenze basate sulla sofferenza, sulla menzogna, sulla vergogna. Molte di quelle vicende sono state raccolte grazie a un paziente lavoro d’indagine e di ascolto, condotto tra mille ostacoli e omertà da due commissioni d’inchiesta organizzate tra il 2012 e il 2015 dalla Regione Toscana, che ne ha appena ripubblicato i risultati in un grande Rapporto: fuori dai confini regionali, purtroppo, non l’ha letto quasi nessuno. Eppure squaderna una vicenda orribile, uno scandalo che tutta l’Italia dovrebbe conoscere e che meriterebbe una giustizia più severa di quella che ha ottenuto.
«Al Forteto anche i minorati venivano maltrattati» racconta Saverio, un ex ragazzo della comune che fra tanti casi ricorda quello di Pietro, un suo povero amico: «Quasi sempre si ritrovava a mangiare “insilato”, un mix di fieno che si dà ai ruminanti. La cooperativa aveva un allevamento di bovini e ovini, e Rodolfo (Fiesoli, ndr) serviva il piatto di insilato a Pietro, che lo mangiava, vomitava e si doveva rimangiare il suo vomito».
Tutti i minori in affido, se giudicati colpevoli anche di piccole mancanze, a mensa erano obbligati a stare in piedi davanti ai commensali, con un sacco in testa. Più spesso venivano seviziati. Michele, un ex piccolo ospite del Forteto, racconta: «Tante volte prendevi le botte con gli zoccoli o con i mestoli». Le botte erano lo strumento per le punizioni corporali dei bambini che non si adattavano agli abusi sessuali obbligatori o alle altre regole del Forteto: «Venivamo picchiati in una stanza chiamata “il forno”, perché era lì che veniva fatto il pane. E da fuori sentivamo le urla…». Altri bimbi erano lasciati dormire per terra e, se per la paura facevano la pipì a letto, venivano avvolti nelle loro lenzuola bagnate.
Sergio Pietracito, entrato al Forteto a 18 anni e tra i primi a denunciare gli orrori della setta, racconta che «lì le donne venivano tutte considerate impure e meretrici, e l’unico amore era quello omosessuale. Se non ti adeguavi, eri peggio di un reietto: vittima di una sottile violenza psicologica da parte del gruppo». Sergio spiega però che l’imposizione più crudele era il taglio netto con l’esterno: famiglie, amici, amori: «Quando scappai, dopo 12 anni, io non osai nemmeno tornare a casa dai miei. E scoprii che la mia fidanzata era venuta più volte a cercarmi, ma l’avevano sempre cacciata».
Per evitare che anche i bambini potessero voler tornare a casa, la comune li convinceva che le famiglie d’origine li avessero abbandonati. «Anch’io» rievoca Lilia «credevo che la mia famiglia non ci fosse più, che non mi volesse: ero arrabbiata fissa». Il sistema per fare emergere ricordi falsi erano i «chiarimenti», una confessione corale che avveniva ogni sera. Era un lavaggio del cervello collettivo, dove tutti erano costretti a raccontare in pubblico di sé, disagi e malesseri: «Una sera» ricorda Emanuele, che aveva 14 anni «mi toccò inventarmi che il mio babbo mi portava a prostituirmi. Io non me lo ricordavo, ma lì ti mettevano in un modo tale per farti dire le cose…».
In molti sono stati spinti a denunciare i genitori per reati mai avvenuti: obiettivo, eliminare il rischio di un ritorno dei bimbi affidati alle famiglie d’origine: «Da piccola ero stata abusata da uno zio» ricorda Lilia «e su questa cosa Rodolfo ci ha giocato tanto. (…) Ha messo su tutto un castello, una costruzione per cui era come se i miei genitori mi avessero abusato; insinuando che mio padre potesse avere delle attenzioni sessuali nei miei confronti, cosa mai successa, o che la mia mamma mi odiava». Tutto inventato. «Ma in quel periodo, sinceramente, io ci ho creduto».
A un altro bimbo, Gianni, «arrivarono a far sostenere che aveva visto la sua mamma prendere i soldi dall’uomo che l’aveva violentato. Rodolfo ci disse che lui lo doveva dire, perché sennò la sua mamma sarebbe riuscita a riprenderselo».
L’abuso e il maltrattamento dei minori erano prassi al Forteto, conferma la Commissione d’indagine. A stabilirlo in via definitiva è stata la Cassazione, che lo scorso novembre ha condannato a 14 anni e dieci mesi di reclusione Fiesoli.
La Sentenza (Documento Esclusivo)
Ma è una sentenza tardiva. Non solo perché oggi l’ex leader della setta ha 78 anni, ma perché le avvisaglie di quei reati erano emerse già nel 1978, con le prime denunce. Da decenni la giustizia avrebbe dovuto fermare gli abusi della comune fiorentina, visto che già nel 1985 Fiesoli e Goffredi avevano subìto una condanna definitiva, e per reati simili. Invece tutto è andato avanti, indisturbato, fino al nuovo arresto di Fiesoli nel dicembre 2011.
Nello scandalo del Forteto, però, i tribunali sono stati prima odiosamente distratti e poi incredibilmente lenti: è anche per questo se le accuse contro altri imputati sono state archiviate, e se tanti sono stati risparmiati dalla prescrizione. Molti ex bambini rivelano di essere stati sottoposti a insistenti pratiche sessuali. Gli abusatori come Fiesoli giocavano sulla loro fragilità. Produce vera angoscia la storia di Mario, che descrive il senso di dipendenza affettiva creatosi in lui, dopo essere stato allontanato da casa per colpa di un padre violento, quando a 14 anni viene trasformato nel «favorito» di Fiesoli: «Ero il suo concubino, mi sentivo importante. Poi mi sono accorto che andava anche con gli altri ragazzi».
Al sesso vero si arrivava per gradi. Si comincia a toccare nelle parti intime, con un dito nell’ano. Michele, che era arrivato al Forteto a cinque anni, racconta: «Tu andavi a rifare le camere dove dormiva Rodolfo, gli portavi la colazione» e come tanti altri si trovava «le mani nelle mutande». A volte erano gli stessi genitori affidatari a convincere i bimbi che non c’era nulla di male nelle pratiche sessuali. Michele aggiunge: «Spesso mi ci portava la mia mamma affidataria e mi diceva: “Ma lasciati andare… Rodolfo fa così con tutti, è normale!”».
Nessuno proteggeva i poveri figli del Forteto. Di certo, non pareva preoccuparsene il Tribunale dei minori di Firenze. Gaia, un’altra ex bimba, rivela che la setta «sapeva con una settimana d’anticipo quando venivano gli assistenti sociali, o anche di più. Quando poi arrivavano, prima ci parlavano loro (i capi della comune, ndr), poi si andava giù tre secondi, per una recitina: “Tutto a posto, tutto perfetto, il bambino è bravo, noi siamo bravi, il bambino è contento. Fine della verifica”».
Il reclutamento delle piccole vittime era continuo, ossessivo. Una delle storie più tristi è quella di Diletta, affidata a 16 anni al Forteto da un giudice minorile nel 1997. Quando entra nella comune, Diletta è incinta: «Fuori stavo con un ragazzo di 17 anni» racconta «ed eravamo molto innamorati. Non ero rimasta incinta per caso: non stavo bene in casa e quello era l’escamotage per sposarsi e andarsene via». Ma nel Forteto tutto cambia. «Hanno tagliato tutti i ponti tra noi» ricorda Diletta «m’hanno fatto credere non mi amasse più». Quando lui si presenta al Forteto, viene cacciato a calci, lo terrorizzano, gli gridano: «Diletta non è incinta di te».
Lei ricorda: «Quello è stato l’ultimo giorno che ho visto il padre di mio figlio». Alla fine il neonato trova un padre in un altro uomo della comune, e a stendere l’atto è lo stesso giudice che ha già regalato Diletta al Forteto: «Mi fa firmare un foglio nel quale dichiaro che il padre naturale di mio figlio è un altro. Così ho regalato mio figlio a una persona che non era suo padre».
Con un colpo d’ala, e con l’inquieta sensibilità dei toscani, oggi Sergio Pietracito sussurra che per raccontare la tragedia del Forteto «servirebbe un poeta». Vero: una specie di Antologia di Spoon River.
