Tra i veleni sparsi dallo scandalo dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati sul mercato delle nomine delle procure italiane, un procuratore aggiunto ha registrato per due volte un collega perché messo in allarme dalla giornalista di un importante quotidiano sull’esistenza di una clamorosa dichiarazione. Dichiarazione che, però, non è mai esistita… Intanto, il pm finito nel mirino ha pagato con la carriera.
«L’intercettazione fantasma» sarebbe un buon titolo per un romanzo di John Grisham, l’avvocato diventato scrittore di bestseller giudiziari. Invece è l’ennesimo rimasuglio nella pignatta sporca dell’inchiesta su Luca Palamara. Una intercettazione che rimbalza qua e là, ma che non esiste. Perché nessuno l’ha pronunciata. Eppure, è stata brandita da magistrati contro altri magistrati in quel radioattivo fall out seguito alla pubblicazione del «mercato delle nomine» allestito nei saloni dell’Hotel Champagne, a Roma. Chi sa la verità e potrebbe chiarire, però, preferisce tacere. E lasciare che innocenti paghino per colpe non commesse.
I protagonisti della storia sono due stimati pubblici ministeri napoletani: Cesare Sirignano e Giuseppe Borrelli, oggi procuratore a Salerno. Siamo nei giorni dei titoli a tutta pagina e delle indiscrezioni sul trojan «inoculato» nel cellulare dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Sirignano è preoccupato che le sue chiacchierate con Palamara su quello che lui stesso definisce «verminaio delle nomine», già anticipate da alcuni quotidiani, possano essere strumentalizzate a suo danno, e si confronta con l’amico Borrelli. Perché proprio con lui? Per un motivo molto semplice: era stato Borrelli a coinvolgere Sirignano nelle sue aspirazioni di carriera per diventare procuratore a Perugia.
Le carte, che Panorama ha potuto visionare, mostrano infatti Borrelli particolarmente attivo nella ricerca della promozione. Tanto da coltivare rapporti coi «big» di Unicost, cioè Unità per la costituzione, la sua corrente. Circostanza, questa, che tuttavia Borrelli non ha mai rivelato al Consiglio superiore della magistratura. Il 9 febbraio 2019, per esempio, Borrelli scrive a Sirignano: «[…] dopo aver parlato con Mancinetti (Marco, consigliere del Csm, ndr) posso dire che ho sbagliato a non fare domanda per Torre Annunziata […]». Il giorno dopo, rispondendo all’amico che gli suggerisce maggiore cautela («Stai calmo. Io non posso prendere sempre questione per te»), il procuratore di Salerno aggiunge di aver discusso con un altro consigliere: «Io non sto dicendo niente. Mi sono limitato a dire che dopo aver parlato con Spina (Luigi, ndr) e Mancinetti ho capito che […] me lo prenderò a quel posto […]».
Borrelli sa bene che le possibilità di arrivare a Perugia passano per Palamara. Nulla di male. All’epoca, l’ex presidente dell’Anm non risulta indagato. In una conversazione del 3 marzo tra Palamara e Massimo Forciniti, altro leader di Unicost, si legge: «Palamara […] ha appreso […] che Borrelli al corso per dirigenti di Firenze ha detto […] di essere certo di avere l’appoggio di Unicost per il posto di procuratore a Perugia, aggiungendo di aver avuto conferma della regia di Palamara […]». E, proprio con quest’ultimo, il candidato si vede due volte nel marzo 2019.
La prima al ristorante «20 e 20», a Roma, per un incontro a cui partecipano anche Forciniti e Spina. La seconda in Abruzzo. È Palamara a raccontarlo a Spina. Leggiamo nel brogliaccio, il riassuntino delle intercettazioni: «In merito al convegno di ieri a Roccaraso, Palamara dice di aver fatto molto bene ad andare perché sono riusciti a smussare gli angoli […] Palamara dice che essendo presente anche Giuseppe Borrelli lo ha invitato a parlare, verosimilmente, con Marco Mancinetti per stemperare gli animi […]».
Dunque, tra marzo e aprile 2019, Borrelli è parte integrante della trattativa per la Procura umbra sia direttamente sia tramite Spina. A maggio però il «mercato delle nomine» scatena il finimondo. Temendo di finire in quel frullatore impazzito, Borrelli registra di nascosto per ben due volte Sirignano, avendo probabilmente compreso le insidie nascoste negli spezzoni delle intercettazioni. Soprattutto riguardo ai suoi pregressi rapporti con Spina, incaricatosi – come emerge dagli atti – di comunicare allo stesso Borrelli la volontà di una toga capitolina, Stefano Fava, di denunciare per un presunto conflitto d’interessi il procuratore aggiunto Paolo Ielo a Perugia. Procura in cui era incardinato pure il procedimento contro Palamara. Un cortocircuito perfetto.
La prima registrazione avviene a casa dello stesso Sirignano. La seconda in Procura. Borrelli vuole sapere se – come certe letture delle carte giudiziarie sembrano suggerire in quel momento – Sirignano abbia mai legato la nomina a procuratore di Perugia alla supposta disponibilità di Borrelli ad aprire in Umbria il fascicolo contro Ielo. Sirignano esclude categoricamente l’ipotesi dello scambio di favori, come emerge pure dalle registrazioni: «Non è che tu andavi lì […] perché dovevi tutelare Palamara […] tutelare Palamara può significare anche fare il mestiere del procuratore serio».
Oppure, sempre Sirignano: «Io non sono quello che deve essere nominato. Io mi trovo là dentro per te (Borrelli, ndr). Tu ti trovi coinvolto in questa cosa perché sei uno dei concorrenti. Io non sono concorrente a niente […] per loro una maggiore garanzia significa che tu fai il procuratore della Repubblica». E così arriviamo all’intercettazione fantasma. Durante il faccia a faccia in Procura, Borrelli riceve una telefonata da una cronista del Corriere della sera che gli riferisce di aver saputo che, nei brogliacci, ci sarebbe la frase che inchioderebbe Sirignano. La giornalista svela a Borrelli che, di fronte alla domanda del leader Unicost sulla possibilità di mettere sott’inchiesta Ielo, Sirignano avrebbe risposto, riferendosi a Borrelli: «No no, c’ho parlato e lo fa».
Un falso. La frase, quando saranno depositate le intercettazioni complete, non comparirà mai. Ma tanto basta a Borrelli per scrivere un esposto contro Sirignano, mandandolo sotto procedimento disciplinare. Il pm partenopeo viene allontanato dalla Dna e finisce in una piccola Procura della provincia di Napoli. Tenta inutilmente di difendersi, ma la furia giustizialista post Palamara è più forte. Il Consiglio superiore della magistratura potrebbe verificare l’infondatezza delle accuse nei confronti di Sirignano, ma non lo fa; nonostante, in quinta commissione, lo stesso Borrelli, in audizione, corregga il tiro e ammetta di essere stato tratto in inganno dalla versione della giornalista.
E, con l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti (oggi eurodeputato del Pd), riconosce l’errore. È Roberti a raccontarlo a Palazzo dei Marescialli: «A un certo punto dissi (a Borrelli, ndr) […]: “Ma tu ti rendi conto che […] Sirignano ha agito esclusivamente nel tuo interesse e in buonafede?”. E lui disse: “Sì, mi rendo conto e io gli voglio ancora bene a Cesare”. E allora perché non fai un bel gesto? Perché non ti presenti al Consiglio spontaneamente e dici queste cose, dici che sei convinto della buona fede di Cesare, che Cesare ha agito esclusivamente nel tuo interesse?». Borrelli accetterà ma l’audizione, stavolta in prima commissione, salterà. E sul caso Palamara continuerà ad aleggiare il fantasma di una intercettazione immaginaria.
