In Campania, in Puglia, in Sicilia, in Calabria… Sempre più «associazioni» criminali lucrano sulla gestione di loculi e cappelle tra mazzette, assegnazioni illecite e intimidazioni. E le salme, spesso, spariscono.
Stiamo cacciando tre morti però li mettiamo tutti in una cassetta». Il cimitero degli orrori è a Cittanova, 10 mila abitanti alle porte di Reggio Calabria. Qui, hanno scoperto gli inquirenti della Procura di Palmi, una cricca aveva messo le mani sulla gestione dei loculi per farne un grande affare. Il cimitero è in contrada Petrara. Ha un ingresso ad archi e un lungo colonnato che, si racconta in paese, fu un omaggio del cavaliere Rocco Gentile, un filantropo che ha donato ai propri concittadini anche un cinema (che porta il suo nome) e che ora, commentano i clienti di un rivenditore di materiale per l’edilizia che si trova a pochi metri dal campo santo, «si sarà rivoltato parecchie volte nella tomba».
I carabinieri, a seguito della soffiata di un cittadino che nel loculo di uno dei suoi cari ha trovato una seconda salma tumulata abusivamente, hanno piazzato telecamere e microspie, allungando il grande orecchio della Procura fino agli spazi frequentati da un’impresa, da un tecnico comunale e da alcuni agenti della polizia locale che avrebbero dovuto sorvegliare un’estumulazione. Nei video è impressa una sequenza agghiacciante: gli operai si muovono su un’area verde con un escavatore e affondano la benna senza fare attenzione alla rottura dei feretri. Terra e resti mortali finiscono in un punto poco distante, ammassati in una piccola fossa comune. Il procuratore di Palmi Emanuele Crescenti, che ha coordinato l’inchiesta, è convinto di aver fatto luce su quella che definisce «la gestione parallela» del cimitero di Cittanova. L’indagine, ribattezzata «Aeternum», poggia su una ricostruzione dei fatti che si può riassumere così: alcuni dipendenti comunali avrebbero consentito alle imprese funebri di trattare i loculi come se fossero di loro proprietà, la complicità di medici dell’Asl (che avrebbero dovuto vigilare sulle estumulazioni ed eseguire visite necroscopiche che, in realtà, venivano attestate in contumacia), di un tecnico comunale e l’assenza dei controlli della polizia locale avrebbero permesso di «massimizzare» l’uso degli spazi liberati, venduti poi a tremila euro l’uno.
E se si calcola che si sarebbero perse le tracce di oltre 460 salme una stima del business non è difficile da fare. Ma c’è anche un retroscena. L’ex arciprete della parrocchia di San Girolamo, don Giuseppe Borrelli, 80 anni, avrebbe tentato di infilarsi nell’affare, attestando «falsamente», ritengono gli inquirenti, di essere amministratore delle cappelle gentilizie che una volta appartenevano a tre confraternite religiose che nel 2007 sono state disciolte.
Su quelle cappelle, finite tra le proprietà patrimoniali del Comune, grazie alla presunta complicità del sacerdote, gli indagati hanno avviato lavori di ristrutturazione, procedendo alla soppressione delle salme che ospitavano. Nei guai, oltre agli amministratori delle imprese, è finito anche l’ex custode del cimitero, ora in pensione, Salvatore Ligato detto Franco, che per gli inquirenti sarebbe «il promotore dell’associazione a delinquere» che, con il raggiro delle estumulazioni, si sarebbe accaparrato il mercato funerario locale.
Una scoperta inquietante l’ha fatta anche una donna che a Taranto, agli inizi di gennaio, dopo aver comprato un loculo dal Comune l’ha trovato già occupato da una bara. L’evento, che ha rimandato subito la mente all’inchiesta calabrese, è stato inquadrato in quella che i magistrati della Procura tarantina hanno definito una «disinvolta, lucrosa e illegale gestione delle attività cimiteriali». Anche qui c’è un’inchiesta che gli investigatori della Squadra mobile hanno chiamato «Golden system», perché l’appalto è milionario: sette milioni di euro. E sarebbe stato manipolato e costruito su misura per la cooperativa Kratos. Così come in Calabria, gli inquirenti credono di aver individuato un’associazione a delinquere con alcuni necrofori che avrebbero imposto nei cimiteri San Brunone del quartiere Tamburi e Maria Porta del Cielo a Talsano, una tangente applicata ai familiari dei defunti, alle onoranze funebri e agli artigiani che dovevano eseguire lavori.
Un’estorsione, insomma. A chi non si piegava veniva ricordata la «cattiva fama» di un esponente di un gruppo criminale tarantino con il quale ogni tanto si sarebbero fatti vedere in compagnia. E, così, una tantum bisognava versare tra i 100 e i 250 euro per ogni procedura di tumulazione o estumulazione. L’indagine, guidata dai pm Maria Grazia Anastasia e Francesco Ciardo, è partita dall’incendio di due automezzi di una imprese che precedentemente gestiva le attività cimiteriali e che si apprestava a partecipare alla nuova gara. Le intercettazioni avrebbero poi portato alla luce il giro di mazzette che, secondo l’accusa, «era nota a tutti, anche negli uffici comunali», dove erano già arrivati degli esposti che, puntualmente, venivano nascosti o distrutti.
Estorsioni anche a Pozzallo, comune in provincia di Ragusa, dove gli imprenditori edili impegnati nella realizzazione di tombe, cappelle ed edicole funerarie sarebbero stati taglieggiati da un gruppo organizzato che si occupava anche di trafficare in droga. Qui i metodi che gli investigatori definiscono «intimidatori» sarebbero stati particolarmente cruenti. Oltre all’incendio di un cantiere edile, ci sarebbero state anche aggressioni fisiche per ottenere «il controllo», sostiene l’accusa, «di tutti i lavori all’interno del camposanto». E in una circostanza, proprio all’interno del cimitero, ricostruisce l’inchiesta, alcuni colpi d’arma da fuoco sarebbero stati esplosi contro il titolare di una ditta che avrebbe dovuto procedere all’esecuzione di alcuni lavori. Le intimidazioni avrebbero costretto molti committenti a compiere anche violazioni di carattere contrattuale o a cedere la realizzazione in subappalto, ovviamente alla ditta riconducibile al «pistolero cimiteriale».
E non è finita. A Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, si è ipotizzata addirittura l’infiltrazione della camorra ed è in corso un processo. Al centro dell’inchiesta c’era l’assegnazione di una cappella gentilizia a Domenico Nuzzo, che negli ambienti della mala chiamano «Mimmariello» e che per questa vicenda si è già guadagnato nove anni di reclusione con il rito abbreviato. Con lui è finito nei guai anche il vicepresidente della Provincia di Caserta Pasquale Crisci che da poco, insieme agli altri sette indagati, è stato rinviato a giudizio. Dagli accertamenti sarebbe emerso quello che i magistrati hanno bollato come «un mercimonio di loculi e cappelle».
Sarebbero stati i pregiudicati del clan a terrorizzare i proprietari dei loculi e a costringerli a cederli o a venderli a chi non trovava più posto per i defunti e si rivolgeva a chi sarebbe stato capace di accelerare qualsiasi pratica. L’obolo bisognava versarlo a Giuseppe Pascarella, detto «’A livella», il custode del camposanto: 400 euro di sovrapprezzo per ogni loculo venduto a terzi per 3.500 euro. La mazzetta al guardiano, secondo l’accusa, doveva fargli compiere «atti contrari ai doveri del suo ufficio, consistiti nella mancata verifica della corretta procedura di assegnazione dei manufatti cimiteriali» e in particolare «nel consentire di vendere a terzi acquirenti i loculi assegnati dal Comune di Santa Maria a Vico». Il tutto, spiegano i magistrati, «con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi dell’assoggettamento e dell’omertà per agevolare l’organizzazione camorristica del clan Massaro». Ovvero il gruppo di riferimento di Mimmariello Nuzzo, il boss che ambiva alla cappella gentilizia.
