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Garlasco, tutto quello che ancora non torna

Garlasco, tutto quello che ancora non torna

Una serie di errori, di indizi e di piste trascurate hanno portato alla condanna di Stasi. Ma gli elementi contro di lui sono deboli.

Processi, ricorsi, sentenze, condanne, assoluzioni e poi di nuovo condanne. E inchieste. Aperte, chiuse e riaperte. In quasi 18 anni nessuno è riuscito a descrivere in modo completo e logico le circostanze in cui è stata uccisa Chiara Poggi, né a far combaciare la condanna giudiziaria (definitiva) per Alberto Stasi con la verità storica e neppure a scrivere la parola fine sul romanzo noir di Garlasco. Sembrano ancora troppi gli elementi traballanti.

L’orario della morte
L’orario della morte viene inizialmente fissato tra le 9:12 e le 9:35. Stasi non ha un alibi per quei 23 minuti. Nessuno ha visto Stasi entrare o uscire dalla villetta dei Poggi. Non c’è un video che lo riprende. Non c’è un testimone. E quell’intervallo temporale, con l’accesso ai file del pc, si è poi rivelato anche più largo. La forbice oraria è cambiata durante i processi. Si è allargata. E la certezza dell’orario della morte è evaporata. Nonostante ciò, per i giudici della Cassazione Stasi «ha fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine».

Le scarpe pulite
Per l’accusa è la prova regina: Stasi non poteva non essersi sporcato le scarpe nel sangue della vittima, che sul pavimento era ovunque. Non essendo chiara l’epoca della morte, allo stesso tempo non è chiaro se il sangue fosse secco o fresco. Un dettaglio che fa la differenza. Le scarpe di Stasi, inoltre, sono state sequestrate il giorno seguente. Dopo 19 ore. Ore in cui Stasi ha camminato per casa, ha calpestato ghiaia, ha partecipato a un sopralluogo con i carabinieri. È passato perfino sull’erba bagnata del giardino (particolare verbalizzato dai suoi genitori).

La scena del crimine
Ben 25 persone tra inquirenti, medici legali e necrofori varcano la soglia della villetta. Entrano senza calzari. Senza protezioni né cautele. Le impronte repertate sono 17. Complete. Sei di queste portano il nome e il grado di tre ufficiali dei carabinieri. Tutti senza guanti. Errori da manuale.

Il bagno
Un’impronta di Stasi viene trovata su un dispenser nel bagno. Insieme al Dna di Chiara. L’accusa la considera sospetta. Ma anche questo elemento appare molto debole: Stasi era il fidanzato. Aveva libero accesso. Usava quel bagno. L’impronta doveva essere neutra. Non si sa quando sia stata lasciata. Non si sa in quale circostanza. Ma per i giudici della Cassazione, l’impronta «era posizionata in maniera difforme rispetto alle comuni modalità di utilizzo di un erogatore di sapone (ossia pigiando il pulsante con il palmo della mano o con un dito), ma perfettamente compatibile, invece, con il gesto di chi afferra l’oggetto, per scopi diversi da quello del suo utilizzo». L’assenza di tracce ematiche sulla leva del miscelatore, sul dispenser, o nel sifone del lavandino, a fronte della necessità dell’assassino di lavarsi le mani imbrattate, viene così superata dai giudici della Cassazione: «Non può trovare altra giustificazione se non quella che le manovre di lavaggio erano state, evidentemente, poste in essere con notevole accuratezza». Stasi, insomma, sarebbe stato così accorto da riuscire, lavandosi le mani insanguinate, a non far finire il materiale ematico neppure nel sifone dello scarico.

La bici nera da donna
Una testimone afferma di aver visto una bici nera da donna davanti casa Poggi. Stasi conferma di averne una. Ma quella bici era nel negozio del padre. E nessuno vide Alberto usarla quel giorno.
Poi si scopre che di bici la famiglia Stasi ne possiede diverse. I carabinieri, però, non le sequestrano. E la difesa inutilmente lamenta: «È stato trascurato l’unico dato rilevante, ossia che nessuna delle biciclette della famiglia Stasi può identificarsi con la bicicletta avvistata fuori da casa Poggi la mattina del 13 agosto 2007». La censura dei giudici è questa: «Stasi ha taciuto in merito al possesso «di una bicicletta nera da donna»». E la sua posizione si è aggravata.

Il Dna sui pedali
Altro tassello: il Dna di Chiara sui pedali della bici di Alberto. Alle prime analisi risulta sangue. Poi i carabinieri del Ris ci ripensano: probabilmente è un falso positivo. Solo Dna. Bastava che Chiara avesse toccato la bici. O ci fosse salita un giorno, come probabilmente è accaduto.

La luce della cantina
Stasi dice che era spenta. I carabinieri la trovano accesa. I giudici lo considerano un dettaglio sospetto. Negli atti giudiziari, però, non viene mai indicata l’esistenza o l’assenza di un sensore. Nessuno lo ha mai verificato.

Il capello fantasma
Chiara ha un capello corto nella mano sinistra. Potrebbe essere dell’aggressore. Ma non viene mai analizzato. Le parti civili lo chiedono. Niente. «Non necessario», secondo giudici e inquirenti. Quando finalmente un perito potrà metterci le mani sarà troppo tardi: il reperto è ormai compromesso, degradato oltre ogni possibilità di analisi. Il tempo, ancora una volta, ha cancellato ciò che la scienza avrebbe potuto rivelare.

Le unghie dimenticate
Nessuna analisi approfondita sotto le unghie della vittima. La difesa sostiene che la procedura più opportuna «sarebbe stata quella di raccogliere tutto il materiale biologico trattenuto dall’intera superficie». Ma i giudici hanno liquidato la richiesta ritenendola «esorbitante». E soprattutto per «evitare ripetizioni». Che a distanza di 18 anni sono state ritenute invece necessarie. E sono, infatti, alla base della riapertura delle indagini.

I graffi
Due brigadieri vedono graffi sull’avambraccio sinistro di Stasi. Non vengono fotografati. Uno dei carabinieri pensa che fosse compito dei repertatori. Nessun medico legale li esamina. Il particolare, inoltre, emerge solo nel 2014.

Le foto scomparse
La Procura generale cerca 41 foto di Stasi con gli amici. Servivano a capire che scarpe indossava. Ma sono sparite. Erano in caserma, a Vigevano. Dell’assenza se ne accorge il procuratore generale durante l’appello. E la corte si limita a prenderne atto.

Autopsia incompleta
Il cadavere di Chiara non viene pesato. Gli anatomopatologi non hanno a disposizione la bilancia. Ma il peso avrebbe potuto aiutare a stabilire l’orario della morte con maggior precisione. Un’altra occasione persa. Irrimediabilmente.

Il contenitore in cucina
Sul tavolo della cucina viene repertato un contenitore vuoto di fruttolo. Nessuno lo analizza. Nei processi non viene mai menzionato. Ma è tra i reperti. Ed è stato ignorato del tutto.

Niente movente
Non c’è prova di un litigio, né della scoperta di un tradimento. La presenza nel pc di Stasi di immagini pedopornografiche e le ricerche sul tema effettuate sul web da Chiara nelle sentenze non si trasformano nella ragione che avrebbe spinto Stasi a uccidere la fidanzata, con la quale peraltro la sera prima aveva mangiato una pizza. Per i giudici della Cassazione, però, «la mancata individuazione di uno specifico movente, ossia la ragione precisa scatenante l’impeto omicida di Stasi» non è un problema. «Non incide in alcun modo sul complessivo quadro indiziario a carico dello stesso, né appare necessario individuarlo nel caso di omicidio d’impeto».

Le prove negate
La difesa ha chiesto più volte nuove perizie. Sui Dna. Sui file. Sui tappetini dell’auto. Sui dispositivi informatici. Tutto negato. «Non necessario», secondo i giudici. Ma in un processo costruito su indizi e presunzioni, ogni dubbio avrebbe meritato di essere chiarito.

Piste ignorate
Per chiudere il caso viene usato questo principio: a uccidere Chiara non può essere stato nessun altro. Ecco il passaggio della sentenza che ha bollato Stasi come un assassino: «Le alternative ricostruzioni […] sono state ritenute assolutamente fantasiose e del tutto prive di riscontri, se non smentite dalle risultanze acquisite». E infine: «La vita di Chiara Poggi è stata scandagliata e nelle indagini condotte sono stati sentiti coloro che con lei avevano avuto a che fare nel tempo; all’esito, è emerso che la giovane non aveva molte amicizie e frequentazioni, meno che mai in quei giorni in cui parenti, amici e conoscenti erano in vacanza».
Diciotto anni dopo, invece, si torna a indagare proprio tra le frequentazioni. Perché non tutti erano in vacanza.

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