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Le spose italiane di Allah

Le spose italiane di Allah

Sia pure in misura minore rispetto a Francia o Germania, anche nel nostro Paese ci sono donne che, per seguire il loro partner militante islamico, si sono convertite al Jihad. È il caso di Alice Brignoli, appena condannata dal tribunale di Milano. Da noi, tuttavia, manca ancora un programma di de-radicalizzazione.


«Lo Stato islamico in Siria non era il posto idilliaco che ci aspettavamo, volevamo tornare indietro». Così parlò Alice Brignoli, in un momento di lucidità e pentimento, dopo essere stata arrestata per terrorismo internazionale. Italiana di Bulciago (Lecco), madre di tre figli, nel 2015 ha smesso le vesti di mamma amorevole ed è diventata una foreign fighter, abbracciando la causa di Allah. O meglio, del Jihad. «Per finalità di terrorismo» è stata condannata l’11 maggio scorso dal tribunale di Milano a quattro anni di carcere e a cinque d’interdizione dai pubblici uffici.

Convinta di poter dare un futuro migliore alla sua famiglia, ha trascinato i piccoli con sé in Siria, nel cuore della guerra civile. Il piano lo aveva studiato a fondo insieme a un militante marocchino dell’Isis, Mohamed Koraichi, a sua volta folgorato dalla chiamata alle armi del Califfo Al-Baghdadi. Già radicalizzato ai tempi delle nozze con Alice (2008), frequentava le moschee di Costa Masnaga, nel Lecchese, e di viale Jenner a Milano, dov’era stato notato dal Ros dei Carabinieri. Che però non hanno fatto in tempo a fermare la coppia, espatriata nel settembre 2015, al termine di un processo di radicalizzazione. Con quel carburante ideologico hanno attraversato i Balcani e la Turchia e imbracciato le armi contro il governo di Damasco.

Mohamed Koraichi è finito al fronte, dov’è stato ferito ed è poi morto a causa di un’infezione mal curata. Alice, invece, ha cambiato nome in Aisha e ha continuato a vivere, cercando di trasformare in martiri anche i suoi figli. La madre di Alice il 6 marzo 2015 si era rivolta alle autorità dopo aver ricevuto una serie di messaggi inquietanti della figlia, che le raccomandava «di convertirsi all’Islam, se vuoi continuare ad avere contatti con me».

Alla notizia sconcertante che il maggiore dei nipoti, al tempo undicenne, era stato introdotto nei campi di addestramento dell’Isis, e dopo aver osservato con sgomento le foto degli altri nipotini in tuta mimetica e con il dito puntato in cielo, ha allertato i carabinieri. Seguendone le tracce, gli specialisti dell’Arma hanno scovato Alice-Aisha nel campo profughi di al-Hawl, nord della Siria, vicino al confine tra Siria e Iraq. Era stata costretta a sfollare perché rimasta senza cibo né vestiti per i piccoli. E qui il Ros l’ha prelevata il 29 settembre 2020. Lei e il marito erano tra i sei destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare dell’aprile 2016, che aveva condotto all’arresto di altre due coppie: Abderrahim Moutaharrik e Salma Bencharki, che si dicevano disposti a compiere attentati in Vaticano; Abderrahmane Khachia e Wafa Koraichi, quest’ultima cognata di Alice Brignoli. Tutti saranno condannati con pene dai tre ai sei anni, ed espulsi dall’Italia.

La radicalizzazione di queste donne rappresenta un caso piuttosto raro per l’Italia, dove in totale risultano appena una decina le figure femminili che si sono accostate all’Islam radicale (rispetto al totale di circa 130 foreign fighter censiti nel nostro Paese). Specie se raffrontato a Francia e Germania, dove le donne arruolate dal Califfato hanno superato complessivamente le mille unità. «La caratteristica principale delle italiane radicalizzate è la marginalità come condizione sociale ed esistenziale di provenienza. In Francia, invece, che ha sperimentato il fenomeno in scala molto maggiore, più spesso l’estrazione sociale le vede appartenere alla classe media» puntualizza Francesco Antonelli, studioso del fenomeno e autore del libro Radicalizzazione (Mondadori, 2021).

In effetti, il 90 per cento dei foreign fighter legati all’Italia sono uomini, con un’età media di trent’anni al momento della partenza. Tuttavia, il primato italiano del più giovane terrorista è ancora una volta una ragazza: F.S., sedici anni appena, residente all’estero fino al momento della fuga in Medio Oriente. Insieme a lei ha fatto parte dell’Isis anche la convertita Maria Giulia Sergio, partita da Inzago (Milano) per la Siria nel settembre 2014 insieme al marito albanese Aldo Kobuzi, e condannata a 9 anni in contumacia per terrorismo internazionale. A differenza di Alice, Maria Giulia era riuscita a convertire genitori e sorella, poi fermati nell’ambito dell’Operazione Martese poco prima che la raggiungessero a Raqqa, dove è poi scomparsa senza lasciar traccia.

Morta per una malattia cronica o rimasta sotto le bombe della coalizione internazionale, Maria Giulia era tra le 303 ragazze europee che nel 2013 avevano seguito i «corsi di radicalizzazione» via Skype organizzati dalla reclutatrice italo-siriana Bushra Haik: cresciuta a Bologna ma con passaporto canadese, è ancora oggi inspiegabilmente latitante in Arabia Saudita.

Altra italiana vittima passata per il reclutamento via web è la ventottenne Lara Khadija Bombonati, condannata nel novembre 2019 a due anni e otto mesi di carcere dalla corte d’assise di Alessandria per associazione con finalità di terrorismo.

La sua storia ricalca quella di molte altre: dopo la conversione all’Islam, nel 2016 parte per la Siria insieme al marito Francesco Muhammad Cascio, che morirà in battaglia. Sarà arrestata nel giugno 2017 a Tortona, in Piemonte, dopo essere stata espulsa dalla Turchia, dove aveva tentato invano di riparare in seguito alla rotta dell’Isis.

Tra le storie ancora da compiersi ci sono invece quelle di due giovanissime italiane di seconda generazione: Sonia Khediri, italo-tunisina residente in provincia di Treviso, partita per la Siria nel 2014 a soli 17 anni, e ancora in attesa di un possibile rinvio a giudizio; e quella della ventiquattrenne italo-marocchina Meriem Rehaily, fuggita da Padova nel 2015 per unirsi allo Stato Islamico e condannata in contumacia nel 2018 a quattro anni, per arruolamento con finalità di terrorismo.

Quest’ultima svolgeva per l’Isis l’attività di hacker e di reclutamento online. Oggi ha riparato nella tendopoli di Roj, Nel nord-est della Siria, dove nel frattempo ha partorito due figli e si dice pronta a tornare a casa perché pentita. Ma in Italia non esiste ancora un programma di de-radicalizzazioneche possa applicarsi a simili profili, sul modello di Francia e Regno Unito. Lo conferma Sabrina Laura Martucci, ricercatrice dell’ateneo di Bari: «In Italia siamo sprovvisti di una legislazione che regolamenti o prevenga la radicalizzazione. Oggi ci si affida piuttosto a una serie di iniziative estemporanee e frammentarie, che sinora hanno avuto come target privilegiato i minori. L’unico percorso sperimentato dal vivo con un adulto è stato quello condotto dall’Università di Bari in collaborazione con la Procura della Repubblica e la Digos».

Un percorso che si è rivelato efficace per la persona interessata, grazie a un programma e linee guida ben definite. Presto potrebbe tradursi in legge, nella speranza che non la si debba mai dover applicare.

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