Facciamo sempre meno bambini, adottiamo sempre più cani e gatti. A loro dedichiamo affetto, cure, tempo libero, spendiamo follie per cibi, vestiti, accessori, li infiliamo nei passeggini. Sbagliamo? Di sicuro oggi con i nostri «pets» abbiamo spesso un legame morboso. Facendoli diventare peluche nevrotici anziché ciò che dovrebbero essere: animali (felici) e non surrogati d’amore.
«Date all’uomo un cane e la sua anima sarà guarita», scriveva la mistica medievale Ildegarda di Bingen. Forse avevamo tutti un disperato bisogno di guarire, perché mai come dopo la pandemia i cani abitano le nostre vite, prendendo sempre più spesso il posto di quei figli che non nascono più. Sono loro, ornati da collarini di Swarovski, ingolfati in piumini griffati d’inverno e con le Crocs per le zampe in estate (rinfrescanti e orripilanti), trasportati nei passeggini o in borsetta, chiamati «la mia bimba, il mio bimbo», i nostri nuovi amori. La XVI edizione del Rapporto Assalco-Zoomark lo conferma: nelle famiglie italiane vivono circa 65 milioni di animali da compagnia, di cui quasi 9 milioni sono cani (e 10 milioni i gatti). Mentre nel nostro Paese le culle sono sempre più vuote – nel 2022 la natalità ha raggiunto il minimo storico, con meno di 440 mila nascite – le case si riempiono di zampe e code. E loro, i nuovi «figli», dormono insieme a noi nel letto (e chi dice il contrario mente) e si rotolano non nei prati tra le margherite bensì tra divani e cuscini. Se un tempo con le amiche sciorinavi le prodezze dei pargoli ora l’argomento sono solo i pelosetti (mentre sui figli scende un velo pietoso). E allora un dubbio sorge legittimo: tutto questo amore sarà mica perché sono gli ultimi esseri viventi rimasti che sopportano gli umani? Spiega l’etologo Enrico Alleva: «La popolazione mondiale si è concentrata nelle metropoli, i rapporti umani si sono rarefatti. Il cane è diventato un importante elemento di compagnia, ma per la sua igiene mentale deve essere trattato come il lupo ancestrale che è in lui, e non come una persona. Altrimenti soffrono».
Negli anni Sessanta nelle borgate romane la cuccia era rigorosamente sul pianerottolo. Un antico retaggio delle campagne, quando gli animali stavano sull’aia e mai entravano in casa. Oggi dal pastone fatto con gli avanzi della cena siamo passati direttamente al menu del consulente nutrizionista. Le cifre spese per il cibo «bestiale» sono impressionanti. Nel 2022 i prodotti per l’alimentazione di cani e gatti hanno generato nel mercato italiano un giro d’affari di 2.759 milioni di euro. La crescita in valore rispetto all’anno precedente è stata dell’11,4 per cento. Gli alimenti per cani rappresentano quasi la metà (46,2 per cento) del mercato, ovvero 1.275 milioni di euro.
«Nascono come in America grandi cliniche, ma si è perduto il senso del rapporto con il proprietario» osserva Stefano Macciò, veterinario milanese. A Milano e Roma cliniche veterinarie sono le nuove miniere d’oro. Negli ultimi tempi sono state acquistate da fondi d’investimenti e multinazionali. La richiesta è grande e così lo sono i costi. Tra Tac, risonanze magnetiche, operazione in laparoscopia, protocolli oncologici e chirurgia d’eccellenza si spende di più che per i nostri ricoveri. E dal momento che non esiste (per ora) la «mutua» per i pets, fioriscono di conseguenza le assicurazioni per gli animali.
«È cambiato il modo di percepire la diversità. Non stiamo curando un essere diverso, ma un componente della famiglia che ha lo stesso nostro diritto alla salute. Hanno un ruolo sentimentale, una funzione sociale. Colmano la nostra sempre più grande solitudine. Che non è, come pensiamo, quella degli anziani, ma quella della generazione dei cinquantenni. Dopo 30 anni di lavoro vedo un rapporto malato, nevrotico. E i cani sono più paurosi, fragili e aggressivi» continua Macciò.
Gli scarichiamo addosso ogni tensione, e poi si va dallo psicologo per cani (il vero mestiere del futuro). Racconta Clara Palestrini, professore associato al dipartimento di Medicina Veterinaria e Scienze Animali dell’Università degli Studi di Milano. «All’inizio degli anni Duemila abbiamo aperto un ambulatorio per i problemi comportamentali di cane e gatto. Era il primo in Italia. Non abbiamo avuto un giorno che non fosse tutto prenotato. E già allora c’erano i primi campanelli d’allarme». Prima arrivavano quasi da clandestini: «Mi dicevano: “Dottoressa, non voglio che mio marito lo sappia, penserebbe che stia esagerando”. Oggi non c’è una persona che non faccia intraprendere al cane un percorso educativo».
Le grandi città sono un proliferare di asili e asilini con tanto di pulmino, come lo scuolabus. Quelli più ricercati hanno spa, piscina, trattamento all’ozono, toelettatura, grandi spazi verdi, educatori per aiutarli a socializzare. Roba da fare invidia alle aule scrostate dei nostri bambini. «Il livello di benessere è aumentato, al primo sospiro il cane vola dal veterinario. Bastano tre giorni di dissenteria perché ci si trovi nel mezzo di una tragedia. Una volta invece i padroni me li mollavano davanti alla porta dello studio e allegramente andavano al bar a farsi il bianchetto» conclude Palestrini.
Oggi il cane è lo sfogatoio della nostra indomita melanconia, un bancomat d’affetto. «È il secolo della solitudine, come ha scritto l’economista Noreena Hertz. Viviamo in un maggior isolamento e in questo disagio è coinvolto anche il cane» osserva Emanuela Prato Previde, docente di Psicologia all’Università Statale di Milano. «Un cambiamento nell’arco della relazione uomo-animale c’è sempre stato, ma si è acutizzato negli ultimi anni. Certo ci sono persone che hanno e continuano ad avere un rapporto equilibrato. Ma da sempre questa è una relazione complessa, dipende dalle persone, dalle culture. Parecchi fattori entrano in gioco, tra cui quelli culturali che sono poi quelli che spingono certe tendenze attuali».
Ossia trasformare il cane in un figlio, nelle coppie giovani e in quelle con la sindrome del nido vuoto. E che spesso portano in giro il loro adorato su un passeggino, super accessoriati e chic più di quelli per bambini. O gli fanno sontuose feste di compleanno con tanto di inviti ufficiali. «Quanto più aumenta la solitudine, la disgregazione sociale, tanto più sale il desiderio di surrogati. E non necessariamente del figlio, ma della fretta, della mancanza di tempo, della possibilità di stabilire relazioni sociali» aggiunge la psicologa. Per Roberto Marchesini, filosofo ed etologo, lo spettacolo è patetico: «C’è molta confusione, tutti vengono utilizzati per qualunque cosa. Una volta un genitore era genitore e non un amico. Il rapporto con il cane era autentico, specifico. La società liquida ha reso tutti intercambiabili. Ognuno di noi si sente un’isola. Il resto sono cose da usare, da fruire».
Compresi gli animali. «Leopardi ne Il passero solitario, poesia di etologia ante litteram, scrisse di come si soffra a non esprimere la propria natura. Questo è ciò che sta accadendo. Esiste una forma sottile e strisciante di maltrattamento anche nel riempirli di coccole e carezze, chiamandoli in quel modo orribile: “pet”. Come fossero peluche». L’autore di L’amore per gli animali (Edizioni Lindau) non ha dubbi, è solo colpa nostra: «Siamo diventati come la regina cattiva di Biancaneve: sempre davanti allo specchio a rimirare i nostri piccoli ego. Il cane e il gatto sono una comoda scappatoia per continuare a restare chiusi in noi stessi. Il rischio è che se continuiamo così saremo sempre più isolati».
Mariagiulia Polidori da trent’anni è una dei medici veterinari romani più apprezzati: «Sono in molti ad aver scambiato l’animale con il marito, il figlio, l’amico. Tutto questo nasce dalla sfiducia verso il prossimo. E poi è anche una questione di comodità: loro non ti giudicano, scodinzolano e anche se li maltratti strisciano ai tuoi piedi. Gli basta una carezza per starti vicino, non vogliono niente in cambio. Ti adorano incondizionatamente». E quando mai i figli ti amano senza condizioni? Mai. «C’è una crescita abnorme di cani da grembo, che non hanno bisogno di lunghe passeggiate. Ho visto barboncini che non hanno mai toccato terra, tenuti in braccia o in borsa. Isterici, stressati».
Come sempre nell’amore, anche qui c’è il lato oscuro: «Tutto questo desiderio di cuccioli ha un prezzo altissimo. C’è un’eccessiva richiesta e l’offerta non è in grado di soddisfarla. Tutti vogliono labrador, golden, maltesi, jack russell, bulldog francesi. Da qui nasce l’incremento di allevamenti intensivi, abusivi. Accoppiamenti sbagliati, cuccioli strappati troppo presto alle madri, un mercato nero in aumento pericoloso. Visitiamo una quantità di animali malati che prima non vedevamo». Cagnette, le «fattrici», tenute in gabbia, accoppiate in continuazione, anche con i figli, fino a che il loro utero non regge più e allora vengono soppresse. Cani in batteria, come i polli. Venduti come fossero di razza (prezzi a partire dai mille euro in su), che poi si rivelano essere tutto fuorché di razza. Il margine di guadagno su questi animali, che spesso arrivano dall’Est Europa o dalla Corea (ma oggi gli allevamenti sono soprattutto di italiani che hanno capito il business), è altissimo.
«Un boom terrificante. Storture che portano a cani poco equilibrati, che hanno paura di tutto. Perché noi li rendiamo paurosi del mondo. Nessun cane nasce da borsetta, né ha bisogno del profumo. Sono cose deleterie» sostiene Paola Valsecchi, etologa all’Università di Parma, allieva del celebre Danilo Mainardi. «Parlare di un cambiamento a livello globale è impossibile. Basti pensare che in Asia sono un alimento. Da noi dagli anni 90 il cane, che tradizionalmente era da caccia, per il gregge, da guardia, è diventato perlopiù da compagnia. Questo ha stretto la relazione. Negli ultimi studi sul comportamento ci sono filoni di ricerca sull’attaccamento che hanno messo in luce come il rapporto che sviluppa con il suo proprietario ha caratteristiche simili a quelle di un bambino di pochi mesi verso la madre. Il rischio di un rapporto così stretto è di umanizzare l’animale».
Secondo la studiosa, alla base c’è la paura per un futuro che facciamo fatica anche solo a immaginare: «Avere un animale, che sia un cane o un gatto, è meno impegnativo, poi lo sfaldamento della famiglia gli ha in parte spianato la strada. Quando mi chiedono se è giusto prendere un cucciolo per i figli io rispondo: “siete pronti per un altro figlio?”. È chiaro che non è così, non devi farlo laureare, né comprargli una casa. Ma per 14-17 anni ci sarà un essere vivente a cui si dovrà dare tempo e attenzioni. Perciò ricordatevi: avere un animale non è obbligatorio».
Ma la relazione di fiducia è difficile e molti fanno fatica nell’accettarla, come il fatto di non poter pretendere tutto subito. Racconta Olivia Tschuor, da 12 anni educatrice cinofila, specializzata in pet-therapy: «La prima cosa che i proprietari mi dicono è: “Voglio che mi riporti la palla e me la lasci. Ma questo è il tuo divertimento, non certo il suo. Gli chiedi di correre dietro alla palla che simula una preda e pretendi pure che te la porti e la lasci senza nessuno scambio. Se voglio che mi riporti gli oggetti devo motivarlo, gratificarlo, farlo sentire al sicuro nel donarmi la sua preda». Come scrisse il grande architetto Yona Friedman nel suo meraviglioso librino Hai un cane? È lui che ti ha scelto/a (Quodlibet): «Un cane non è molto diverso da un umano. Vede quello che vuole vedere, ascolta quello che vuole ascoltare. Cercherà di piacerti a modo suo e tenterà di spiegarti ciò che pensa, ma noi non siamo abbastanza intelligenti da capirlo». Non abbiamo capito i nostri figli, figuriamoci i nostri cani.
