Un deserto pieno di ascetismo
(Ansa)
ARTICOLI FREEMIUM

Un deserto pieno di ascetismo

In questo ambiente dove ogni cosa va all’essenza, i grandi eremiti dell’antichità hanno messo alla prova la fede, praticando fermezza, pazienza, rigore. Virtù che oggi sono tutte da riscoprire.

La scrittrice Cristina Campo, nella splendida antologia che curò assieme a Piero Draghi (Detti e fatti dei padri del deserto, recentemente ristampata da Se) ne celebrava «l’atletismo ascetico», e non vi può essere definizione più giusta per i monaci cristiani orientali che a partire dal III e IV secolo lasciarono le città per sfidare il deserto e, soprattutto, sé stessi. La loro fede era agonistica, il loro ritrarsi dal mondo era un mettersi in lotta. Il primo fu l’egiziano Antonio il Grande. Seguirono poi Arsenio, Macario, Evagrio, Ilarione... Asceti combattenti da tutto l’Oriente, precorso di tutto il monachesimo medievale e dei santi che ancora oggi si ritirano sul monte Athos, in Grecia. Alcuni sceglievano le ostili terre siriane, altri avevano per compagni i sassi della Palestina. «Altri», scrive Cristina Campo, «anacoreti con momenti di vita comune presso una chiesa, un forno, un pozzo. Altri ancora, cenobiti in qualche monastero o piccola laura di abbacinanti ciottoli bianchi coagulati tra le rupi e i baratri. In maestose e scheletriche montagne essi occuparono caverne di fiere, o scavarono cellari che le facevano somigliare a colombari giganti: in ogni buia bocca della pietra un corpo d’uomo». Vi erano i padri (Abba) ma anche le madri (Amma) come Sarra, che diceva fiera: «Io sono una donna per la mia natura, ma per i miei pensieri sono un maschio», non a voler svilire il sesso femminile ma a volerne ribadire la forza, la virilità (la citazione è tratta dall’antologica Meterikon. I detti delle madri del deserto, appena uscita per Garzanti).Combattenti, dunque. Tanto che Giovanni Crisostomo così descriveva ammirato l’Egitto pieno di tende di monaco come il cielo è pieno di stelle: «In tutta questa regione è possibile vedere l’esercito di Cristo, il gregge reale e la comunità delle virtù celesti. E questo non lo si riscontra solo per gli uomini, ma è valido anche per le donne. Infatti esse non meno degli uomini si danno alla vita ascetica; non imbracciano scudi e non cavalcano come vorrebbero gli accigliati legislatori e pensatori greci, ma danno vita a un’altra battaglia molto più dura, combattendo insieme agli uomini una comune guerra contro il diavolo e le potenze delle tenebre. In nessun modo la debolezza del sesso diventa un impedimento in questo conflitto, perché un tale combattimento viene deciso non in base alla forza del corpo ma alla determinazione dell’anima. In questo senso le donne hanno combattuto spesso con più impegno degli uomini e hanno conseguito trofei più splendidi».

Perché il deserto fosse così «affollato» lo ha spiegato di nuovo Cristina Campo: «Da poco Costantino aveva restituito ai cristiani il diritto di esistere, spezzando il dogma di Commodo - Christianoùs me éinai, i cristiani non siano, e sottratto con dolcezza la giovane religione al terreno meravigliosamente umido del martirio, alla stagionatura incomparabile delle catacombe. Questo significava, evidentemente, consegnarla a quel mortale pericolo che rimase tale per 18 secoli: l’accordo col mondo. Mentre i cristiani di Alessandria, di Costantinopoli, di Roma, rientravano nella normalità dei giorni e dei diritti, alcuni asceti, atterriti da quel possibile accordo, ne uscivano correndo, affondavano nei deserti di Scete e di Nitria, di Palestina e di Siria. Affondavano nel radicale silenzio che solo alcuni loro detti avrebbero solcato, bolidi infuocati in un cielo insondabile». Volevano sfuggire alla seduzione del mondo, restarvi dentro ma senza esserne parte. Così la vede anche padre Anselmo Stolz in Ascesi cristiana (pubblicato ora da Iduna per la curatela di Nuccio D’Anna). Poiché «la religione cristiana era diventata religione ufficiale dello Stato, farsi cristiano non costituiva più un pericolo, anzi, era il miglior modo di assicurarsi un promettente avvenire. La massa del popolo entrava nella Chiesa, le autorità ecclesiastiche stesse dovevano cooperare con le autorità civili. Tutto ciò causava una specie di compromesso tra la vita cristiana finora così austera e la vita pubblica e civile espressione genuina del paganesimo e fino allora in perfetta antitesi con l’altra. Questa secolarizzazione, secondo questi autori, sarebbe stata per i cristiani ferventi e desiderosi di mantenere la primitiva austerità la ragione precipua del loro isolamento».

Non era una fuga, però. Semmai la ricerca di una battaglia più dura ed estrema, di un cristianesimo eroico, come quello che balena nell’episodio di Agatone: «Un fratello interrogò l’abate Agatone: “Ho un ordine da eseguire, ma in quel luogo so che dovrò lottare molto. Vorrei andarvi per obbedienza, ma temo di misurarmi in quella guerra”. L’anziano gli rispose: “Al tuo posto, Agatone eseguirebbe l’ordine e vincerebbe la guerra”». Del resto, scrive Anselmo Stolz, «la vita ascetica è un’imitazione di Gesù Cristo e nello stesso tempo un martirio. [...] È milizia e lotta continua contro il demonio sotto la guida di Gesù Cristo Re. [...] S. Nilo, profondo conoscitore della vita spirituale, aveva ben ragione di chiamare il monaco e l’asceta un “guerriero contro le passioni”. Anche San Benedetto, nella sua regola, parla del combattimento come di una Cosa essenziale ad ogni genere di vita ascetica. Nel prologo dice per esempio che ogni candidato alla vita ascetica e monastica dev’essere un soldato pronto a combattere per Gesù Cristo vero Re e che per questo combattimento deve impugnare le nobili armi dell’ubbidienza, il cenobita è da lui chiamato “combattente”».È nella fatica di questo combattimento che i padri e le madri del deserto ci parlano ancora: la più feroce manifestazione del loro nemico è la stessa che ci affligge oggi. Evagrio Pontico (di cui Città nuova pubblica Gli otto spiriti della malvagità e che fa da guida a Fabio Rosini ne L’arte della buona battaglia, edito da San Paolo) la chiama «acedia». L’accidia che ha poco in comune con la pigrizia, e molto con la depressione e l’ansia. Come spiega Jean-Charles Nault, «il termine akedeia o akedia non era sconosciuto agli autori pagani, presso i quali evocava un’idea di incuranza, di negligenza, d’indifferenza. Esso alla lettera significa “mancanza di interesse per qualcosa” (incuria), però il suo senso resta piuttosto vago. [...] Nessuna parola, infatti, può rendere con precisione il significato tecnico, così ricco, che Evagrio ha conferito a questo termine greco. Noia, torpore, pigrizia, disgusto, tedio, abbattimento, languore, indifferenza, scoraggiamento».

L’accidia è il demone meridiano, lo scoraggiamento che assale il monaco dalla ora quarta all’ottava, prima della nona in cui si usava prendere il pasto (le 15 circa). Per i pagani, era quel momento in cui il dio Pan sbucava dai boschi e infondeva il panico nel pastore che aveva appena consumato il pasto sotto le fronde ombrose. L’accidia è dunque un blocco, un’incapacità di agire che si può manifestare anche come iperattività o addirittura, come afferma Nault, sotto forma di eccessiva attenzione per la salute fisica. Sono, queste, le malattie dell’anima di quest’epoca: ansia che paralizza, attivismo esagitato che sfinisce, esaurimento spirituale. Il monaco combatte con l’arma della perseveranza, e insegna un’arte ormai perduta: la gestione del tempo, o meglio la resistenza. Noi abitiamo un’era che teme più di tutto la fatica e il dolore, che pretende tutto e subito e non sa perdurare. I monaci resistono, cercano la pace, l’hesychia (da cui «esicasmo») che è tranquillità, quiete, immobilità come antitesi all’affannarsi odierno. Si battono armati di una spada che è la parola, da ripetere finché non diventi - da pensiero - canto del cuore. Come nel detto di Iperechio: «Abbi sulle labbra inni spirituali: la loro continua recitazione solleverà il peso delle tentazioni che ti verranno. Il viaggiatore dal pesante carico è un chiaro paragone: cantando, egli dimentica la fatica del cammino».

I più letti

avatar-icon

Francesco Borgonovo

(Reggio Emilia, 1983). È caporedattore della Verità. Ha ricoperto lo stesso ruolo a Libero. Ha pubblicato, tra gli altri, i saggi Tagliagole (Bompiani) e L'Impero dell'Islam (Bietti). Con Giacomo Amadori ha collaborato alla stesura del libro I segreti di Renzi (Sperling & Kupfer) di Maurizio Belpietro. Ha lavorato come autore televisivo per programmi in onda sulla Rai e su La7, tra cui La gabbia. Conduce su Telelombardia il talk show politico Iceberg.

Read More