È possibile che gli USA non vogliano mantenere una situazione di attrito con l’Iran, che appoggia gli Houthi, nel momento in cui si stanno incastrando i tasselli dell’accordo di Ginevra sul nucleare iraniano. Il blocco dei bombardamenti lascia così l’esito dello scontro al campo di battaglia, dove le forze lealiste del presidente Mansour Hadi stanno contrastando nella città di Aden le milizie Houthi e i reparti dell’esercito fedeli all’ex presidente Saleh. Nel mentre, a est del Paese il gruppo di AQAP (Al Qaeda nella Penisola Arabica) ha conquistato notevoli posizioni, e importanti infrastrutture e attacca gli Houthi alle spalle.
Nel caso in cui gli Houti e le milizie di Saleh abbiano la meglio, si potrebbe giungere a un futuro e precario stato unitario sciito-sunnita. Se invece le forze del Movimento del Sud riusciranno a ricacciarli da Aden, si arriverebbe probabilmente a una nuova divisione del Paese. E, quindi, alla permanenza della minaccia sciita sotto la pancia dell’Arabia Saudita, già minacciata a nord dall’avanzata contro l’ISIS delle truppe irachene comandate da generali iraniani. E ancor più minacciata da un Iran che, sbloccato dalle sanzioni e riammesso nel consesso internazionale, aumenterebbe notevolmente il proprio peso regionale. E la sua spinta sulle forti minoranze sciite in alcuni reami del Golfo.
Una condizione questa che pone di fronte all’Arabia Saudita l’indispensabilità della protezione USA. Ponendosi sotto l’ala protettiva statunitense, Riad dovrà anche accettarne le condizioni. Gli USA potrebbero così ottenere che i sauditi cessino di praticare una politica estera per proprio conto e vantaggio, intralciando i piani strategici americani. Così come si è manifestata in modo accentuato per le pesanti interferenze saudite negli sconvolgimenti causati dalle primavere arabe.
E potrebbero forse anche richiedere che i sauditi riportino la loro guerra sul prezzo del petrolio al punto in cui la quotazione è dannosa per la Russia e per l’Iran, e non anche – sotto i 60 dollari al barile – per il loro shale oil. Vale a dire che Washington vuole che i sauditi cessino di danneggiare la presidenza Obama, per favorire un ricambio interno agli Stati Uniti a tutto vantaggio del Partito Repubblicano, notoriamente legato alle major petrolifere mondiali, che operano anche in Medio Oriente.
Il ricollocamento dell’Arabia Saudita sotto l’ala protettrice americana potrebbe spegnere le varie velleità, locali e globali, dei Paesi che vogliano produrre una propria – indipendente e anche contrastante – politica estera. Israele compresa. Il riallineamento dietro agli americani riporterebbe gli Stati Uniti al consueto ruolo di protettore globale. Consentendogli di giocare, con recuperato prestigio e sicuro retroterra, la sfida principale che è quella contro la Russia e la Cina.