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Yara, perché Bossetti non uscirà più dal carcere

È inutile girarci attorno e far finta di nulla, non è corretto. Perché bisogna proprio tapparsi gli occhi per non vedere come la situazione giudiziaria di Massimo Bossetti sia totalmente compromessa. E qui non si tratta di fare il tifo per Bossetti innocente o Bossetti colpevole, non si tratta di giocare allo stupido giochino degli innocentisti contro i colpevolisti, che sbraitano senza conoscere i fatti fino in fondo. Qui è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà, gli elementi indiziari, le prove raccolte dalla procura di Bergamo e il modo in cui sono state valutate dai diversi organi giudicanti. Da ultimo la Cassazione, che ieri ha rigettato il ricorso presentato dall’avvocato Claudio Salvagni e ha stabilito che il muratore bergamasco deve rimanere in carcere, dove si trova dal 16 giugno scorso con l’accusa di aver ucciso la tredicenne Yara Gambirasio la sera del 26 novembre 2010, lasciandola agonizzante nel campo di Chignolo d’Isola, dove venne ritrovata tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, esattamente quattro anni fa

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Yara Gambirasio, la giovane scomparsa ed uccisa il 26 novembre del 2010 a Brembate
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La tredicenne Yara Gambirasio
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Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio

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Il presunto assassino di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti mentre viene portato nella caserma del comando provinciale dei Carabinieri, a Bergamo il 16 giugno 2014
La conferenza stampa degli inquirenti del caso Yara
Ufficio stampa Carabinieri
Massimo Giuseppe Bossetti, l'uomo ritenuto il responsabile dell'omicidio di Yara Gambirasio

ANSA /Ufficio Stampa Carabinieri

Una foto rilasciata dall'ufficio stampa dei carabinieri mostra il presunto assassino di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti mentre viene portato nella caserma del comando provinciale dei Carabinieri. Bergamo, 16 giugno 2014


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La tomba di Yara Gambirasio

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Il presunto assassino di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti
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Un' immagine di Yara Gambirasio


Dicevamo di guardare in faccia la realtà e di prenderne atto. Con quello di ieri, fra l’altro espresso ai massimi livelli giurisdizionali, sono già quattro i momenti in un cui un organo giudicante ha di fatto vistato, convalidato, sposato il quadro indiziario presentato dalla procura. Attenzione, non quello completo, con tutta l’attività di indagine e con le prove raccolte dopo l’arresto di Bossetti, ma solo l’elemento probatorio iniziale: il dna. In buona sostanza, nonostante i ripetuti dubbi sollevati dalla difesa di Bossetti, per i giudici il solo dna basta a tenere in carcere il muratore bergamasco. Si sono espressi in questo modo, per ben due volte il giudice per le indagini preliminari Ezia Maccora, il tribunale per il Riesame e ora pure la Suprema Corte. Per tutti loro, il dna basta da solo per sostenere l’accusa contro Bossetti, non soltanto nel merito, per quello che è il suo messaggio probatorio, ma anche nella forma. Ieri la Cassazione ha detto che da un punto di vista formale non ha nulla da eccepire.

Questa è la verità dei fatti. Il problema, per Bossetti, è che l’indagine in questi mesi è andata avanti e quando si arriverà a processo ci saranno tanti altri elementi raccolti contro di lui: le telecamere posizionate davanti alla palestra, che riprendono il suo furgone aggirarsi fino al momento dell’uscita di Yara. La testimonianza di un uomo che dice di aver visto un furgone come il suo girare a tutta velocità nell’incrocio davanti alla palestra, le fibre del sedile sempre del furgone trovate sui leggins di Yara, le ricerche sulle tredicenni e il sesso fatte sul computer di casa. E chissà, magari qualche altro indizio non ancora uscito ma che la difesa scoprirà tra qualche giorno, quando saranno depositati gli atti per la definitiva chiusura dell’indagine.

Tutto questo non è stato ancora oggetto di valutazione da parte di un organo giudicante. Tutto questo finirà per avere un peso decisivo a processo. Certo, si può far finta di ignorarlo e guardare da tutt'altra parte, e raccontarsi tutt'altra storia, ma rischia di rendere più doloroso il momento dell'impatto con la realtà dei fattti. 

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