Web side story, un viaggio alle radici della rete

Sappiamo tutti cos'è il binge-watching, ci siamo abituati a divorare serie televisive, una dopo l'altra e con soddisfatta ingordigia. Probabilmente non abbiamo mai preso parte a un flash mob, eppure conosciamo simbolismi e liturgie di questo strano ibrido tra manifestazione e protesta. Inutile chiosare sui social network, specchi digitali, doppio delle nostre identità, oppure sulla gig economy e le sottili derive del concetto di utile. Ebbene, tutti questi fenomeni, assieme a molti altri, sono nati e cresciuti su internet, si sono sviluppati grazie all'ubiquità pervasiva della rete.

«Web side story», come ribadisce il suo sottotitolo («Quando la rete fa la storia») è un efficace riepilogo del nostro recente passato digitale. Un racconto dell'innovazione non come il solito slancio in avanti che per eccedere con le promesse difetta di realtà, ma un riassunto delle puntate precedenti di una rivoluzione globale. Tracciata dai suoi protagonisti – a cominciare da Tim Berners-Lee, lo scopritore di questa frontiera – illuminata da immagini di repertorio e passaggi agili in ossequio al medium su cui intende focalizzarsi.

Perciò, anche come atto di coerenza, la docu-serie divisa in 11 episodi da sei minuti circa ciascuno non va in televisione, ma su Rai Play. E per l'autunno è già prevista la seconda stagione. Firmata da Carlo Durante e Marina Liuzzi, scritta con Nicola Di Turi e Nicola Nosengo, «Web side story» ha un'impronta visiva dinamica dalla patina vintage: non un artificio retorico ma una cifra che funziona per intercettare uno spazio altrove e vicino. Impalpabile eppure, allo stesso tempo, così concreto.

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