Appostamenti da 007 e indagini da serie tv. Per pizzicare chi approfitta dell’impiego da remoto per farsi un po’ troppo gli affari propri, magari allungando il weekend, sempre più aziende si rivolgono alle agenzie investigative. Che si sono adattate, in questo mondo post-pandemico, a offrire supporto per inghippi 2.0 da giuslavoristi.
Sono circa 3,6 milioni gli italiani che continuano a lavorare da casa, per tutti o solo per alcuni giorni del mese. Il loro numero, secondo l’ultima ricerca dell’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano e riferita al 2022, è particolarmente sostenuto nelle grandi imprese, con 1,84 milioni di «smart worker» che in media lavorano 9,5 giorni al mese da remoto, mentre è diminuito nella pubblica amministrazione e nelle piccole e medie imprese.
Ormai siamo di fronte a un cambiamento strutturale e gli effetti di questa rivoluzione sono evidenti: c’è stato un aumento degli acquisti di prodotti informatici, come personal computer o stampanti; sono esplosi i collegamenti a Google meet e Microsoft teams; sono stati ridisegnati gli spazi in casa e negli uffici; si è verificata una diminuzione delle spese per gli spostamenti. Ma c’è un altro fenomeno meno noto e singolare legato allo smart working: il boom di richieste alle società di investigazioni da parte delle imprese per indagare sui dipendenti un po’ troppo «agili» nella gestione del tempo.
«Sono alcune centinaia le aziende che si sono rivolte a noi, anche pubbliche» conferma Carmine Evangelista, amministratore delegato di Az Investigation, società con 120 dipendenti distribuiti nelle sedi di Milano, Roma e Napoli, tra le maggiori del settore. Le indagini sui lavoratori non sono una novità: «Tradizionalmente la richiesta di verificare i comportamenti dei dipendenti arriva da grandi imprese decentrate sul territorio. Le investigazioni riguardano in genere operai impiegati in stabilimenti molto grandi, che magari simulano false malattie o si prendono i permessi previsti dalle legge per curare un parente in realtà sanissimo. I nostri archivi sono pieni di questi casi».
L’avvento dello smart working ha aperto però un nuovo fronte per gli investigatori privati. «All’inizio le imprese hanno riscontrato che la qualità del lavoro da remoto era uguale se non addirittura maggiore rispetto a quella del lavoro in presenza. Ma poi, quando l’emergenza Covid è finita e l’attività economica è ripartita, molti collaboratori hanno chiesto di continuare il lavoro da casa e questo ha acceso qualche lampadina negli uffici del personale. Inoltre, diventando lo smart working una routine, le persone hanno sempre più spostato l’attenzione su sé stessi e sulla vita domestica: in alcuni casi le aziende hanno notato un calo dei risultati. In particolare a ridosso dei fine settimana e nella forza vendita, più facilmente misurabile in termini di numeri» aggiunge Evangelista. «Anche le imprese statali sono più attente, gli organici si sono ridotti e il manipolatore del cartellino non è più tollerato».
Una società come Az Investigation si avvale di una squadra di investigatori che non è costituita, come spesso accade, da ex poliziotti o carabinieri, ma da persone formate in azienda, capaci di reagire rapidamente a situazioni impreviste, poco appariscenti, svelte, alle quali si aggiungono laureati in economia, ingegneria, informatica per il lavoro in sede e la raccolta dati sul web e sul «deep web», il lato oscuro di internet.
Ma per scoprire i furbetti dello smart working l’investigatore utilizza l’armamentario più classico: appostamenti e documentazione dell’attività svolta all’esterno dell’abitazione per svelare l’allungamento del fatidico weekend.
Molto spesso l’indagine si conclude confermando il comportamento scorretto del dipendente, anche perché nel momento in cui l’azienda si rivolge ai detective, ha già fondati motivi di sospettare. Raramente la vicenda si trasferisce in tribunale: se le prove sono abbastanza solide, l’impresa tende ad arrivare a un accordo con il collaboratore per favorirne l’uscita dal gruppo. Altrimenti si finisce davanti a un giudice.
Fondata nel 1974 a Napoli, Az Investigation si occupa di indagini patrimoniali, «due diligence», concorrenza sleale, contraffazioni, sicurezza informatica, intercettazioni, bonifiche ambientali e informatiche, furti di beni. Divenne famosa quando, a fine anni Ottanta, indagò per conto del Calcio Napoli sulla vita spericolata di Diego Armando Maradona. E le capita di collaborare con le forze dell’ordine: per esempio per smascherare una serie di laboratori dove venivano prodotti accessori di moda contraffatti.
Oggi il suo cliente-tipo è abbastanza eterogeneo: si va dalle compagnie di assicurazioni per le indagini sulle frodi alle banche e alle società finanziarie nel campo dei crediti difficilmente esigibili; dalle grandi aziende quotate fino alle piccole e medie imprese per scoprire eventuali scorrettezze dei concorrenti o dei dipendenti, oppure per acquisire informazioni su società che potrebbero essere comprate; e infine ci sono i privati e le classiche investigazioni sull’infedeltà coniugale, che oggi hanno un peso modesto sull’attività della società e che non sono più motivate dal sentimento, come in passato, ma dall’aspetto economico.
Oltre allo smart working, tra i temi di attualità per le agenzie di investigazione c’è la competizione tra le società energetiche. Nel settore dell’elettricità e del gas, infatti, c’è molta più concorrenza in seguito all’aumento dei prezzi e le compagnie si fanno la guerra per strapparsi gli utenti a colpi di telemarketing. In questo conflitto vengono usati anche gli investigatori privati che si fingono clienti per scoprire quali offerte vengono proposte dai vari concorrenti e se la procedura prevista dalle leggi viene rispettata. Va sottolineato che gli investigatori possono svolgere questa attività di «spionaggio» in virtù dell’interesse da difendere, cioè il contenimento di potenziali danni patrimoniali dell’azienda danneggiata dalla concorrenza sleale, e le informazioni che vengono raccolte possono essere utilizzate dall’impresa cliente in totale trasparenza.
Un altro filone, sempre legato al settore dell’energia, è quello dei comportamenti scorretti da parte dei call center. Il problema è che i database dei clienti, patrimonio strategico molto importante per le compagnie elettriche, finiscono nelle sub-agenzie incaricate di effettuare il telemarketing per conto delle agenzie «ufficiali». Queste preziose liste di clienti però rischiano di essere vendute illegalmente al miglior offerente. Il risultato? Per esempio l’utente che ha appena ricevuto un’offerta interessante dall’impresa X, subito dopo viene contattato da un call center che gli propone un contratto ancora più conveniente dell’azienda Y.
Alcune compagnie energetiche sono state sanzionate dall’Antitrust proprio perché non in grado di controllare le agenzie di call center. È il mercato nero dei nostri dati ed è un nuovo fronte per i detective privati. n
© riproduzione riservata