Cosa è la vicarianza?

Come fanno i ciechi a “vedere” con gli altri sensi? Perché esercitare la manualità fa venire buone idee? Come funziona l’empatia? E perché ci piace inventare le storie? Che ci crediate o no, tutte queste cose si basano sulla “vicarianza”. Cos’è, da dove viene e come funziona ce lo spiega Alain Berhoz nel saggio La vicarianza, il nostro cervello creatore di mondi, edito da Codice.

La vicarianza è un concetto molto vasto che, come avrete capito, abbraccia campi della scienza anche molto distanti fra loro. Di base, è la proprietà che rende possibile la sostituzione di un meccanismo, o di un pro- cesso, con un altro meccanismo o processo che possa condurre allo stesso risultato. Come usare una zanzariera per scolare la pasta, o un coltello come cacciavite.

Che cos'è la "vicarianza"
La vicarianza è dunque ben più̀ di una semplice duplicazione: in questo senso è “inventrice”. È grazie alla vicarianza, per esempio, che l’evoluzione delle specie prende una direzione o un’altra. Come nel caso delle falene di Londra che, nel pieno della prima rivoluzione industriale, diventarono più scure per mimetizzarsi con il buio di una notte sempre più fumosa a causa delle scorie di carbone sospese nell’aria. 

Nella storia dell’uomo la vicarianza ha giocato un ruolo persino più importante. È infatti proprio della nostra specie cercare di sopravvivere “travalicando la realtà̀, sfuggendo ai vincoli rigidi della norma, attingendo a nuove risorse di cui l’evoluzione ha dotato il nostro cervello per trovare soluzioni originali ai problemi che sorgono quando interagiamo con le forze ambientali o con gli altri”, per dirlo con le parole di Berhoz. La vicarianza, insomma, non solo è alla base della meccanica dell’evoluzione biologica, ma è anche la responsabile della fantasia, dell’astrazione, della curiosità, della creazione di tutti quei mondi possibili che hanno sostenuto la corsa dell’uomo verso il futuro.

Valore alle diversità
Un’altra caratteristica preziosa del concetto di vicarianza è il valore che questa dà alla diversità. Dalla diversità dei bisogni, delle aspirazioni e delle qualità di ognuno, infatti, vengono risposte diverse agli stessi problemi, aumentando così le chance di sopravvivenza della specie. Un esempio emblematico è quello della cosiddetta vicarianza sensoriale. Scrive l’autore: “gli organismi viventi hanno previsto la possibilità̀ di subire un deficit sensoriale, e hanno dunque moltiplicato la codificazione delle variabili per la percezione”. Questo vuol dire che quando un senso viene meno (la vista, per esempio) gli altri sensi cooperano fra loro per sopperire alla sua mancanza. Immaginate quante cose può insegnare un non vedente ai cosiddetti “normodotati”.

Vicarianza e neuroscienze 
Neurologicamente, inoltre, la vicarianza ci aiuta a imparare (imitando quello che vediamo), a immaginare nuovi modi di fare le cose (sviluppando modelli alternativi), a essere emotivamente più stabili (reindirizzando le nostre emozioni dopo la rottura di una relazione, per esempio), a interagire con le altre persone (tramite l’empatia), a ricordare persino. “Il nostro cervello non è pertanto un semplice simulatore che riproduce la realtà̀, come quelli di volo o di guida. Piuttosto è un emulatore di realtà”. Ed ecco spiegato il sottotitolo del saggio: la vicarianza come creatrice di scenari in mondi possibili.

Dalla sociologia della rete (che viviamo quotidianamente coi nostri avatar online), alle frontiere della biologia, dalla teoria letteraria alle neuroscienze, sono molti i campi del sapere che possono trovare utile il concetto di vicarianza. Ma anche a noi può fare comodo tenerlo sul comodino. Quantomeno come promemoria, così da ricordarci che la strada migliore, probabilmente, è quella che dobbiamo ancora percorrere. 

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