«Verrete perché io vi sto aspettando». Lettere di Mérimée a una sconosciuta che lo fa arrabbiare

Una ragazza inglese di venti anni riesce a farsi pubblicare un elzeviro sugli Annales romantiques. Nella stessa pagina, figura una puntata di un romanzo chiamato Federigo, a firma di Prosper Mérimée. Si sa come vanno queste cose: lei gli scrive chiedendogli un autografo, lui risponde mettendo in chiaro che il suo più grande pregio è la modestia, e che la sera prima è stato su un terrazzino di una delle torri di Notre-Dame a bere aranciata, con quattro amici e una luna incantevole, e un gufo foriero di versi e mottetti, e che d’altra parte poche sere prima era stato a un ballo con tutte le comparse dell’Opera dove aveva passato il tempo a evitare le donne. Lei non si lascia impressionare, lo accusa anzi di volerla scandalizzare col richiamo ad atmosfere cameratesche per stimolarle la fantasia di entrare nelle sue attenzioni, e poi – meglio mi sento – di cosce plebee al vento da neutralizzare col suo charme di fedele servitore della Monarchia di Luglio.

È precisamente questo il momento in cui una occasionale corrispondenza tra una fan e un coltissimo funzionario diventa un delizioso inferno di malintesi e torture, in cui ai conflitti si alternano acuminate tenerezze, anch’esse male interpretate dal loro destinatario, che risponde con un fuoco di fila di snervanti ripicche. È il 1832, e il tutto dura quasi 40 anni: Prosper scrive a lei l’ultima lettera, due ore prima di morire.

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