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Tremate, le ragazze sono sempre più cattive

Il 2108 è stato l’anno delle streghe, questo 2019 si apre sotto la loro inquietante egida. Proprio il primo gennaio è arrivato nelle sale italiane Suspiria, il film di Luca Guadagnino già celebratissimo alla Mostra del cinema di Venezia, che riprende e rinnova il classico horror di Dario Argento. La trama è sostanzialmente la stessa. La giovane ballerina americana Susie Bannion (Dakota Johnson) vola a Berlino per frequentare una prestigiosa accademia, guidata dall’inquietante Madame Blanc (Tilda Swinton). La ragazza scoprirà che in quel luogo l’arte predominante non è la danza, bensì la stregoneria.

Il film originale di Argento fu ispirato da almeno un paio di romanzi perturbanti: Mine-Haha ovvero dell’educazione fisica delle fanciulle di Frank Wedekind, uscito nel 1901, pubblicato in Italia da Adelphi qualche anno fa, e Suspiria di Thomas de Quincey, scritto nel 1845 e appena ristampato da Garzanti in occasione dell’uscita del lavoro di Guadagnino. Il più inquietante è probabilmente il libro di Wedekind, in cui si racconta di una strana accademia in cui le ragazzine sono educate sostanzialmente a suscitare il desiderio maschile, per poi essere vendute a uomini ricchi e potenti. Si potrebbe dire che queste giovani donne siano ninfe, capaci di possedere gli uomini e di ammaliarli: un attributo proprio anche delle streghe. De Quincey, invece, ha fornito ad Argento lo spunto per la creazione della sua spaventosa Madame, tramite la figura della Mater Sospiriorum, la donna che sussurra nella penombra.

Queste suggestioni si ritrovano pure nel film di Guadagnino, che alla versione originale aggiunge alcuni particolari rilevanti. Il regista ha deciso, in particolare, di dare grande spazio alla danza, servendosi delle splendide coreografie di Damien Jalet. Per realizzarle, l’artista si è ispirato a due figure cardine della cultura tedesca: la coreografa Pina Bausch (1940-2009) e la sua «maestra» Mary Wigman (1886-1973). Quest’ultima, nel 1926, realizzò una celebre performance intitolata Hexentanz, la danza delle streghe. Andò in scena proprio a Berlino, dov’è ambientato Suspiria, e sconcertò per i movimenti inauditi e spiazzanti, una specie di rappresentazione di quella che, allora, si chiamava «isteria femminile» (ne parla diffusamente un bel libro curato da Marina Barioglio e intitolato appunto La danza delle streghe, appena pubblicato dall’editore Franco Angeli).

Non soltanto il retroterra culturale avvicina le opere, in realtà diversissime, di Argento e Guadagnino. C’è pure un interessante ricorso storico: la pellicola di Argento uscì nel 1977, in piena esplosione femminista. Le attiviste di sinistra marciavano nelle strade intonando lo slogan stranoto («Tremate, tremate le streghe son tornate») e miravano a rovesciare il patriarcato. Respirando quel clima, Argento creò un’opera dominata dal femminile: tutti i personaggi maschili, sullo schermo, sono secondari. Lo stesso avviene nel film di Guadagnino, che coglie perfettamente lo spirito dei nostri tempi. Le streghe, dicevamo, hanno dominato gli ultimi mesi e si apprestano a dominare i prossimi. Non ci sono le femministe degli anni Settanta, bensì le loro agguerritissime eredi: le vestali del #Me Too, il «movimento antimolestie» che ha sconvolto Hollywood a partire dal caso Weinstein e si è poi abbattuto sull’Europa toccando anche l’Italia (la vicenda del regista Fausto Brizzi, poi faticosamente riabilitato, è emblematica).

L’onda del #MeToo esprime il lato oscuro del femminile che Suspiria spettacolarizza al cinema. Le nuove militanti non si richiamano direttamente alle streghe, però ne incarnano in qualche modo l’archetipo. «La strega» dice a Panorama lo psicoterapeuta Claudio Risé «rappresenta l’aspetto di potere del femminile. La strega serve il potere e lo vuole ottenere per sé attraverso la magia. È interessata alla natura, ma come strumento da manipolare per ottenere appunto il potere».

Già: la strega sfrutta e piega la natura, e non solo quella. Nel nostro Paese sono appena stati pubblicati, sempre sull’onda del #MeToo, alcuni libri fondativi del nuovo femminismo. Il primo, edito da Feltrinelli è Manifesto cyborg di Danna J. Haraway. Poi c’è Xenofemminismo di Helen Hester (edito da Nero). Benché piuttosto complicati e pure un po’ confusi, entrambi spiegano che lo scopo del femminismo è appropriarsi delle nuove tecnologie, intervenire sul corpo umano per liberarsi di fardelli come la maternità o per modificare i generi sessuali. Comunque di strategie di dominio si tratta.

La strega vuole il potere, e movimenti come il #MeToo non sono stati altro che lotte per il potere mascherate da «battaglie per i diritti». A confermarlo sono due ricerche piuttosto autorevoli. La prima, uscita l’estate scorsa, è stata realizzata dallo studio statunitense Temin & Co., guidato da Davia Temin e specializzato in «gestione delle situazioni di crisi».

La signora e i suoi collaboratori hanno catalogato tutte le persone di potere (manager e dirigenti aziendali) che, da quando il #MeToo ha avuto inizio, sono state colpite da accuse di molestie sessuali e simili. Per essere inseriti nella lista, i presunti molestatori dovevano essere stati segnalati da almeno sette accusatrici (o accusatori) diverse. Ed ecco il risultato: 414 individui finiti alla gogna. Di questi, spiega un articolo della rivista Time (quella che ha eletto le pasionarie del #MeToo «persone dell’anno» nel 2018), 190 sono state licenziate o hanno lasciato il lavoro. Altre 122 «sono state messe in congedo, sospeso o sottoposte a indagini». Per circa 69 persone, invece, «non ci sono state ripercussioni». Secondo la Temin, «negli ultimi mesi il tasso di accuse è rallentato, ma la percentuale di persone licenziate è aumentata».

La Temin ha descritto il movimento #MeToo come «uno tsunami», che dopo il caso Weinstein si è allargato a dismisura facendo emergere «altre storie in altri settori». A suo parere, oggi «le donne capiscono un po’ meglio il loro potere collettivo e lo usano». Be’, che si tratti di una faccenda di potere è chiaro, e i numeri pubblicati dallo studio americano lo dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio. Su 414 persone coinvolte, soltanto 7 sono donne. Tutti gli altri 407 sono maschi.

In sostanza, le accuse di molestie sono state utilizzate come una scure per decapitare i vertici di grandi aziende e sostituirli, magari proprio con donne. In questo senso, il #MeToo ha molto giovato alle Vip e alle donne già potenti, mentre sulle persone comuni ha avuto un impatto decisamente ridotto. Un sondaggio realizzato alla fine dello scorso dicembre da Nbc e Wall Street Journal ha rivelato che solamente il 46 per cento dei cittadini statunitensi ritiene che, negli ultimi dieci anni, le donne abbiano ottenuto «conquiste rilevanti» nel campo dell’eguaglianza di genere, e il «movimento neofemminista» non ha modificato la situazione, tanto che i dati raccolti nel 2018 coincidono con quelli di un analogo sondaggio risalente al luglio 1982: in 36 anni, dunque, non c’è stato alcun cambiamento nella percezione da parte degli americani. Un altro 46 per cento degli intervistati ha invece affermato di considerare i passi in avanti solamente «marginali» (mentre il 7 per cento ritiene che non ci sia stato proprio alcun miglioramento).

Alle donne normali, dunque, l’aggressività delle «streghe» del #MeToo non sembra giovare. Eppure, questo modello di donna crudele e predatrice sembra andare per la maggiore. Cinema, tv e romanzi sembrano proporre un modello univoco: una donna in perenne conflitto (anche violento) con il maschio. «La strega» aggiunge Claudio Risé «è presentata come vincente perché oggi vince il cattivo, mentre il bene è svalutato e dipinto come noioso o poco produttivo».

E di «donne streghe» ce n’è per tutti i gusti: si va dall’adolescente Sabrina a cui Netflix ha dedicato una serie tv di successo alle protagoniste del libro Donne che non perdonano (Einaudi) di Camilla Lackberg, che ha dominato per settimane le classifiche italiane. Un altro esempio è la serie tv, tratta dal romanzo appena uscito per Mondadori di Luke Jennings, Killing Eve, in cui due donne (la killer Villanelle interpretata da Jodie Cormier e la più pacata Eve Polastri, impersonata da Sandra Oh) si scontrano in un duello spietato, che ben racconta il dissidio femminile dei nostri tempi.

L’aggressività femminile cresce anche a livello sociale, non soltanto mediatico. La violenza femminile, dice il sociologo Alessandro Amadori, «è più implicita e nascosta rispetto a quella maschile. Fa meno danni visibili. Quindi se ne parla meno». Tuttavia esiste. Anzi, secondo Amadori, oggi «in chiave simbolica e di psicologia collettiva quello maschile è il nuovo sesso debole. Debole emotivamente, debole culturalmente, debole valorialmente».

Un altro sociologo, Marzio Barbagli, e la sua collega Alessandra Minello, hanno recentemente pubblicato su Lavoce.info un articolo intitolato Quando a uccidere sono le donne. «Per molto tempo» hanno spiegato i due esperti «uccidere era un atto confinato all’interno della popolazione maschile. Dal 2000, però, gli omicidi tra uomini sono calati drasticamente, mentre le uccisioni di donne da parte di altre donne sono rimaste stabili o leggermente cresciute». Non solo negli ultimi 40 anni, nei Paesi occidentali «vi è stata una (moderata) tendenza alla convergenza fra la criminalità femminile e quella maschile». Ma negli ultimi 25 anni, in Italia «anche il divario di genere fra gli autori di omicidio è diminuito». Ed ecco il dato sconcertante: «La quota delle donne sul totale delle persone arrestate o denunciate per omicidio è più che raddoppiata, passando dal 3,9 per cento nel 1992 al 9,% nel 2016, superando però anche l’11 nel 2014».

Le streghe sono tra noi e, a quanto pare, stanno vincendo su tutta la linea. La sensazione, però, è che questo modello aggressivo e predatorio non stia facendo granché bene alle donne, poiché l’unica cosa che ne ricavano è il conflitto costante: con i maschi e persino tra loro.

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