"Tempo d’estate. Io vado al mare voi che fate?”

L’estate, specie in tempo di crisi, è il tempo dei posti terribili vicino alle città dove abitiamo in cui riversarsi per un po’ di refrigerio.

Chi può va al mare, anche in pausa pranzo.

Chi non può va al parco, o al parchetto, specie in pausa pranzo.

Ma di che parliamo? Che c’è da dire di nuovo?

La nazionale italiana ci ha privato anche della piacevole occupazione mediatica del mondiale, fallendo miseramente la sua missione. Al che, non ci resta che il solito tran tran di luoghi comuni.

L’estate, un po’ come l’inverno, è la stagione dei luoghi comuni.

Non ho mai capito se siano i luoghi comuni e creare i telegiornali o se siano i telegiornali a creare i luoghi comuni.

Dalle campagne di sensibilizzazione contro l’abbandono degli animali, alla dieta ferrea per dare il massimo in costume da bagno, siamo, come ogni anno, bombardati di fregnacce.

Io adoro i luoghi comuni. Li trovo rassicuranti. E sono convinto che la nostra realtà stia insieme proprio grazie agli stereotipi e ai pregiudizi, nobili alleati che permettono al nostro cervello di non impazzire, semplificando la complessità del reale rendendo decisioni e opinioni possibili.

Ma la quantità si trasforma in qualità. E il numero di luoghi comuni snocciolati d’estate rende la qualità dell’aria molto più irrespirabile dell’afa cittadina. Altro che polveri sottili. Come si fa a non impazzire di rabbia di fronte agli avvisi sui cartelli luminosi che ti raccomandano di bere acqua ed evitare gli alcolici? Siamo aggrediti da seriose prediche che ci vogliono far mangiare cibi freschi, che lanciano allarmi per le crisi degli alberghi, per gli incendi che divampano per mano di pericolosi piromani, che si preoccupano per l’esubero di vucumprà sulle spiagge.

Come ogni anno, subiamo servizi televisivi e articoli di giornali sull’importanza di usare le creme solari ad alta protezione, di non uscire assolutamente di casa nelle ore più calde, di fare il tagliando alla macchina prima di partire, di usare con parsimonia i condizionatori per evitare possibili black-out, di indossare abiti freschi e comodi, di usare lozioni contro le temibilissime zanzare portatrici di epidemie mortali.

Siamo storditi dalla retorica sulle partenze intelligenti, sul mare killer che fa affogare i turisti, sugli amori estivi che durano quanto gli acquazzoni, sui posti esotici pieni di italiani che ti costringono a esclamare “cosa ci fai qui”?, sui rischi delle congestioni, sui costumi sempre più striminziti, non solo per le donne, oramai, sempre più per gli uomini, sulla chirurgia estetica, sulla carne tremula sotto gli ombrelloni, sul sole malato che non è più quello di una volta, sul Ferragosto che segnerà la fine dell’estate appena iniziata, sui bagnini beccaccioni dei telefilm e sui bagnini bolsi degli stabilimenti nostrani, sulla scomparsa delle cartoline.

Il caldo, sempre da record, non si avvicina minimamente al record di sciocchezze che innalzano esponenzialmente la temperatura della noia percepita.

Come possiamo difenderci?

In nessun modo.

Perché, anche lamentarsi dei luoghi comune dell’estate, elencandoli per esorcizzarli, è un luogo comune.

Quindi stiamo freschi.

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