Subprime, la favola dei soldi facili senza lieto fine

“Se qualcosa può andare male, lo farà”! È il primo assioma della legge di Murphy e sono certa che ognuno di noi potrebbe sostenere che vi è parecchia verità. Giusto? Giusto! Quindi perché mai uno che non ha un reddito fisso, ha alle spalle una storia creditizia costellata di “buchi” di ogni tipo o nella ipotesi migliore una situazione finanziaria non chiara dovrebbe essere in grado di ripagare con puntualità svizzera un prestito con tassi di interessi folli doppi se non tripli di quelli di mercato? È chiaro che non lo farà! O quanto meno ci sono possibilità pressoché infinite perché non lo faccia.

Mutuo a più zeri, prestito assurdo o carta di credito con plafond folli rifiutati, dunque? Non sia mai! Quel tizio ha diritto a quel credito! I bancari Usa dissero! E non per umana benevolenza! Ma perché sapevano benissimo che ci avrebbero guadagnato comunque. Almeno nel breve-brevissimo termine. Trasferendo il rischio creditizio dalla banca al mercato finanziario e confezionando ogni tipo di titolo tossico possibile che (miracolo!) avrebbe goduto della tripla A e dunque della massima affidabilità!

Ecco qui riassunta in poche righe la favola dei “subprime” diventata celeberrima a partire dal 2007 quando deflagrò la crisi immobiliare Usa per poi travolgere nel biennio successivo tutto quello che c’era da travolgere! La crisi più grave dai tempi della Grande Depressione del 1929 si disse… Ma fu (ed è) anche peggio.

E ora? Si scopre che tutto il tentato repulisti con regole su regole gridate ai quattro venti da regolatori di ogni tipo sia servito a poco. Pochissimo. Al punto che persino colui che fu battezzato “il banchiere più saggio di Wall Street”, quel Jamie Dimon, capo di JP Morgan, mega banca d’affari rimasta ai tempi dello tsunami del 2008-2009 unica a non chiedere l’elemosina agli Obama Boys e in ultima istanza ai contribuenti Usa, è stato sedotto dai “subprime”.

Altrochè beccato con le mani nella marmellata! Qui è pubblica gogna. Vera! Con uno scoperto da 2 miliardi di dollari legato a complesse operazioni sui credit default swap (Cds, altra parolina magica!) e in definitiva ai prestiti “subprime”. Niente male, vero? Chissà Murphy cosa direbbe…

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