Siria, i bambini affamati e il latte in polvere della mamma di Modena

OLTRE LE FRONTIERE – “Una settimana fa una bimba di due mesi è morta fra le mie braccia. Aveva una temperatura di 34 gradi e mezzo. Era fradicia, aveva i capelli e i piedini zuppi d’acqua”. Elisa Fangareggi, tossisce mentre racconta la storia di un’ordinaria morte nel campo profughi di Azzaz in Siria. Durante l’ultimo viaggio per portare medicine e latte in polvere agli sfollati ha preso la polmonite. Ma nelle parole di questo avvocato modenese di 32 anni non c’è traccia di eroismo. Solo la preoccupazione e l’indignazione di una madre di tre bambine, decisa a non arrendersi agli orrori di una guerra che sta rubando giochi, famiglia e  vita a migliaia di piccoli siriani.

Secondo l’Unicef sono almeno 1,8 milioni quelli colpiti in qualche modo dal conflitto.

Leggi qui il rapporto Unicef sull’emergenza in Siria

A trascinare Elisa dentro l’inferno siriano è stata un’amicizia, quella con Firas, conosciuto ai tempi delle estati spensierate al mare in Toscana: “Per me un fratello, è fuggito con la sua famiglia da Aleppo a marzo del 2011 e da Dubai mi ha detto: Elisa aiutami a prendermi cura di quelli che sono rimasti là”. Per molti mesi dall’Italia, dagli  Emirati Arabi e dall’Egitto sono  partiti pacchi di latte antirigurgito e medicinali, beni che cominciavano a scarseggiare. Ma la guerra si è incancrenita e i disperati in fuga, che avevano perso tutto sono diventati un fiume in piena. Elisa ha cominciato a lanciare appelli per raccogliere soprattutto latte in polvere, ma anche kit anestetici, farmaci, vestiti, che di persona, una o due volte al mese, porta nel campo profughi a mezz’ora d’auto dal confine turco.

I voli arei low cost fino alla Turchia li pagano di tasca propria Elisa e quelli che di volta in volta decidono di accompagnarla. Volontari, medici: “Per quattro giorni curiamo persone ininterrottamente” spiega. “Gli orfani sono tantissimi, molti hanno pochi mesi e spesso quando arriviamo con il latte in polvere scopriamo che da giorni vengono nutriti solo con acqua e zucchero, perché non c’è altro”.

Nel campo lo scorso novembre si stima ci fossero 6000 persone, oggi sono raddoppiate: “Dormono ammassati in piccole tende che già non bastano più, fa freddo, e i bambini senza scarpe vivono costantemente con i piedi nell’acqua putrida. La pelle si macera e si infetta. Loro si ammalano e muoiono: 100 solo lo scorso mese. Se penso che i nostri figli quando hanno qualche linea di febbre passano le giornate sotto le coperte a bere camomilla e guardare film Disney”. La zona del campo è controllata dall’esercito siriano libero: “al confine vengono degli amici in macchina,  i ribelli ci aiutano” dice Elisa. “Non ci è possibile però arrivare ad Aleppo, troppo pericoloso, ma molti padri che vogliono salvare i propri figli si mettono in auto e rischiano la pelle per venire a prendere latte o farmaci al campo”.

I medici scarseggiano, sono un obbiettivo del regime, afferma Elisa “un nostro amico che veniva da Damasco a rifornirsi di materiale medico è stato rapito, un altro ha fatto tre mesi nelle prigioni governative, quando è entrato pesava 80 chili, quando è uscito 35”. I pochi rimasti si fingono barbieri per continuare a curare le persone, per questo Elisa ogni volta che parte cerca di convincere medici e dentisti a seguirla.

A sostegno dell’attività di Elisa è nato anche un gruppo aperto su Facebook: Time4Life, Tempo per la vita, che conta già oltre duemila aderenti.

“Prima di lanciarmi in questo progetto ho riunito la mia famiglia, volevo capire come avrebbero reagito, se la mia figlia maggiore che ha 14 anni e legge i giornali mi avesse detto: mamma non andare, sarei rimasta a casa”. Non l’ha fatto, e quando mamma è in Siria si prende cura delle sorelline di 3 e 2 anni, prepara loro la cena e le mette a letto, in una cameretta che molti piccoli siriani non hanno più.

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