Massimo D'Alema
ANSA/ANGELO CARCONI
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La sinistra? Che vada al Massimo (D'Alema)

La catastrofe non è ancora completa, ma esistono tutte le premesse che lo diventi molto presto. Sto parlando della morte di un soggetto sempre più evanescente: la sinistra italiana. Ho l’obbligo di rivelare subito che si tratta di un evento del quale non mi interessa niente. Ho votato la sinistra per molti anni, parlo del Psi, del Pci, dei radicali e di tutte le loro derivazioni. Poi mi sono reso conto che del mio voto non gli importava nulla. Il distacco da quel mondo che adesso sparirà del tutto si è fatto completo dopo la pubblicazione dei miei libri revisionisti sulla guerra civile.

Senza averci pensato, avevo offerto alla sinistra un’occasione d’oro: da Il sangue dei vinti in poi stavo dimostrando che un giornalista rosso e non nero era capace di una narrazione completa, imparziale e onesta di quel conflitto tra italiani. Mia moglie Adele, nel suo ottimismo d’acciaio di ragazza della sinistra emiliana, mi diceva: «Giampa, vedrai che i compagnucci capiranno e ti faranno un monumento!». In realtà accadde tutto il contrario. Mi presero a calci, mi sottoposero a una infinità di processi politici e morali, costruendo una rete di perfidia, di paura, di bugie. La loro «fake news» più sconcia fu di sostenere che avevo scritto quei libracci per ingraziarmi Silvio Berlusconi, allora potente e non destinato come oggi al guardaroba dei cani. E in compenso il Cavaliere mi avrebbe regalato la direzione del Corriere della Sera.

Come posso piangere per la fine di una compagnia di sopravvissuti che si ritiene ancora il meglio del meglio della politica italiana? In verità la sua sorte è già segnata e non soltanto in casa nostra. La sinistra sta morendo in tutta Europa. I giornali registrano il collasso dei laburisti inglesi. Stanno arrivando alla scissione, senza riguardi per Jeremy Corbyn. Sette deputati hanno già lasciato il partito. E altri lo seguiranno. Nella mia giovinezza la sinistra inglese era un mito. Odiavo chi diceva: al numero 10 di Downing Street arriva un’automobile vuota e ne scende Atlee. La consideravo una battuta da reazionari. Oggi potrei dire: arriva a Palazzo Chigi una Cinquecento vuota e ne esce il premier Giuseppe Conte, anche se non è di sinistra. Ma lasciamo perdere quel gagà di Conte. Prima o poi, verrà affettato e mangiato da Matteo Salvini che lo spedirà a presiedere qualche ente inutile.

Concentriamoci sulla sinistra italica. E proviamo a immaginare chi potrebbe lanciargli l’ultimo salvagente, prima di vederla annegare nella propria impotenza. La mia opinione è che abbia l’obbligo di affidarsi a un leader con un connotato preciso e senza remore: la cattiveria. Sotto questo punto di vista, i presunti leader che vogliono il potere mi fanno ridere. Zingaretti è soltanto il fratello burocrate del commissario Montalbano. Calenda mi ricorda un farmacista della mia vecchia città che andava invano a caccia di ragazze e restava sempre a bocca sciutta. Martina ha l’aria del Cristo in croce capace soltanto di presentarsi a qualche venerdì santo e sfilare in processione. Di Bersani è rimasto il sigaro. Del povero Giachetti non esiste neppure quello. Insomma, la nuova generazione è quasi tutta da buttare. Nessuno di loro è in grado di mettere in mostra un minimo di cattiveria.

Dunque a quale santo possono rivolgersi gli illusi che sperano ancora in una rinascita della sinistra italica? La risposta è una sola: il leader devono pescarlo nella generazione precedente. Anche questo reparto ha perso quasi tutte le guerre che aveva ingaggiato, lasciando la piazza dapprima a un fanatico della patonza, il Berlusconi. E poi cedendo il campo di battaglia ai Cinque stelle di Di Maio il fannullone azzimato e alla Lega di Salvini, l’apprendista dittatore. Ma il Bestiario non intende farla troppo lunga e propone un nome solo che vi stupirà: Massimo D’Alema.

Ne ho scritto molto sui giornali delle epoche precedenti a quella che stiamo soffrendo. E penso che Max di cattiveria ne abbia da vendere. Era cattivo il padre, un deputato comunista di grande potere. Era cattiva la madre che ai funerali del marito rifiutava di stringere la mano ai compagni che avevano lasciato il Partitone rosso. Di conseguenza anche Baffino d’acciaio ha dimostrato di aver preso molto da papà e mammà. Quando venne eletto segretario del partito, gli dissi: «Devi stare attento perché hai alle calcagna un nemico che non ti lascerà in pace…». Lui mi domandò, incazzato: «E chi è questo individuo spregevole? Dimmi il suo nome e provvederò subito a metterlo fuori gioco!». Gli replicai ridendo. «È il tuo pessimo carattere e prima o poi ti fregherà». In realtà niente e nessuno riuscì a fregarlo.

Mentre l’Italia stava affondando, Max si rinchiuse nella fondazione che si era costruita, Italiani europei. Disprezzava i giornalisti e non temeva di attaccarli. Rimase famoso un battibecco con Marco Damilano, l’attuale direttore dell’inutile Espresso. Durante una Piazza pulita di Corrado Formigli, era il luglio 2017, zittì quel chierichetto di Damilano ringhiandogli «Taci, stupido!». Oggi il Max che abbiamo conosciuto è pronto a rientrare in scena. Il 20 aprile compirà settant’anni. E racconta di avere una sola passione: dedicarsi al nuovo mestiere di vignaiolo. Il suo vino è buono o cattivo? Non lo so, perché non sono un enologo. Ma ritengo che sia buono, dal momento che D’Alema è sempre andato alla ricerca dell’eccellenza. Anche nella cattiveria è un primo della classe. Possono imitarlo, ma non eguagliarlo.

Resta una domanda cruciale: la sinistra italiana può salvarsi affidando il comando a quella carogna di Max? Temo di no. Ma poi dico a me stesso: Giampa, hai 83 anni, che ti frega degli italioti rossi? Pensa a trascorrere in allegria il tempo che ti concederà ancora il Padreterno.

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