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30 luglio, vigilia da brivido a Palazzo

di Keyser Sose

La vigilia è di quelle pesanti. La tensione si respira nell’aria, resa più palpabile dalla calma apparente. I partiti parlano di  rimpasti, di tagliandi autunnali al governo, di Imu e di Iva. In realtà tutti hanno in testa quella data fatidica: il 30 luglio Silvio Berlusconi, l’uomo che ha condizionato la storia di questo Paese nell’ultimo ventennio, rischia il carcere se sarà condannato nel processo sui diritti Mediaset.

Il movimento che ha fondato rischia di essere criminalizzato e metà del Paese di restare orfano di una rappresentanza politica. Per cui tutti parlano d’altro, ma hanno in testa solo quell’eventualità. I primi a saperlo sono il premier e il vicepremier del governo delle larghe intese. Enrico Letta e Angelino Alfano ne hanno parlato un’ora dopo che il capo del governo aveva salvato il suo numero due dalla mozione di sfiducia al Senato per la vicenda kazaka.

Letta, immaginando di aver acquisito qualche merito con il Pdl, ha chiesto ad Alfano nel suo studio a Palazzo Chigi: «Cosa succederà se il 30 Berlusconi sarà condannato?». E, forse proprio per riconoscenza, ha ricevuto una risposta sincera, scevra da ogni tatticismo: «Noi non potremmo restare in questo governo. Come potremmo non uscire dalla maggioranza se il nostro leader venisse criminalizzato?
E poi i tuoi, un minuto dopo, comincerebbero a scalpitare per rompere l’alleanza con noi dandoci dei banditi. Non ci facciamo illusioni, verrebbe meno la fiducia. Non so se le istituzioni del Paese si rendano conto del pericolo che stiamo correndo».
Alla fine il più filosofo è proprio l’imputato. Il Cav ha deciso di non rinunciare alla prescrizione per assicurarsi un rinvio della sentenza: «Non servirebbe a niente. È inutile perdere tempo, tutti sanno che sono accuse assurde, che la mia condanna sarebbe una vera ingiustizia. Immaginatevi: io, che mi sono preso la responsabilità di dare un governo al Paese, messo ai servizi sociali, agli arresti domiciliari (e sicuramente non ad Arcore) o, addirittura, in carcere. Trattato come un criminale.

Tutto il centrodestra sarebbe criminalizzato. In queste condizioni come potremmo continuare a collaborare con il Pd per il governo e loro con noi? No, non potremmo. A quel punto lo sbocco più serio sarebbero le elezioni. È la cosa di cui dovrebbe rendersi conto anche il Colle». Già, il Colle, il grande assente. Il capo dello Stato in tutta questa vicenda si è limitato a fare richiami alla responsabilità, ma non ha concorso a rendere tutti responsabili. Nelle dissertazioni degli esponenti del centrodestra c’è ancora chi dice che potrebbe concedere la grazia al Cav, ma è un potrebbe sempre meno convinto.

Su un unico dato concordano gli emissari che frequentano il Quirinale: Napolitano avrebbe escluso che il Cavaliere possa andare in galera.

Nella sua testa, anche in caso di condanna, a Berlusconi dovrebbe essere risparmiata questa umiliazione: i più maliziosi dicono più per le conseguenze che ci potrebbero essere nel Paese che non per un occhio di riguardo verso l’interessato. In ogni caso troppo poco: le pene dell’affidamento ai servizi sociali, o quella degli arresti domiciliari, non sterilizzerebbero gli effetti politici di una condanna. Resta l’ipotesi di un rinvio deciso autonomamente dai giudici della Cassazione, ma non andrebbe oltre agosto o i primi 15 giorni di settembre. Insomma, alla fine servirebbe solo ad allungare il calvario del Cav. Ecco perché un Palazzo paralizzato attende con il fiato sospeso la fatidica data del 30 luglio.

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