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Monito a Salvini e Di Maio: si possono sfasciare i partiti ma non lo Stato

Ne I promessi sposi narrando la rivolta del pane nella Milano del 1628 Manzoni così spiega l'istintiva adesione di Renzo Tramaglino alla sommossa popolare: "Aveva così poco da lodarsi dell'andamento ordinario delle cose che si trovava inclinato ad approvare ciò che lo mutasse in qualunque maniera... viveva anche lui in quell'opinione o in quella passione comune, che la scarsezza del pane fosse cagionata dagl'incettatori e da fornai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle mani l'alimento che essi, secondo quell'opinione, negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo".

Perché in Italia vige la caccia al capro espiatorio

Son passati quattro secoli ma quelle parole conservano un'allarmante attualità. Quell'Italia asservita allo straniero e alla propria ignoranza è diventata una delle dieci potenze economiche del mondo eppure continua a covare quell'opinione e quella passione. Un cronico, risentito scontento pronto a esplodere a ogni tragedia, alimenta la disponibilità a qualsivoglia cambiamento e una sete di giustizia sommaria che trova pace nella caccia al capro espiatorio ben prima che qualunque responsabilità sia accertata.

Ieri la folla assaltava i forni decisa a linciare fornai e presunti incettatori mentre si faceva complice dei poveri che, intanto, rubavano la farina. Oggi di fronte al crollo di un ponte che ha mietuto vittime innocenti ci si scaglia contro l'innocente segretario del Pd e si acclamano i sobillatori che hanno impedito che si costruisse una strada alternativa.

Azzardo l'ipotesi che all'origine di questo male oscuro ci sia l'assenza di uno Stato moderno, efficiente e imparziale. Centocinquant'anni di storia unitaria non sono bastati a forgiare uno Stato di tutti perché al di sopra di ciascuno, uno Stato che si prenda cura dei cittadini e con cui i cittadini si identifichino rispettandone le leggi e l'autorità. Si vedono le membra sparse ma non l'organismo.

Quanti fallirono nell'impresa di fare lo Stato

Nell'impresa di fare lo Stato fallirono prima le élites conservatrici, poi lo Stato populista in camicia nera. La Prima repubblica con la sua democrazia parlamentare e il pluripartitismo si accontentò di rispecchiare le divisioni e le tensioni - internazionali e sociali - ma non riuscì a costruire uno Stato da loro indipendente e a loro sovraordinato. La chiesa cattolica, i partiti, i sindacati, i corpi intermedi, la stessa opinione pubblica e la cultura davano sfogo ai conflitti mediando e governando, imbrigliando e spegnendo le pulsioni estreme.

Quel sistema fu spazzato via dal crollo dei muri, dall'inchiesta Mani pulite e dalla nuova ondata populista con gli osanna a Antonio Di Pietro, poliziotto e giudice. E vennero i governi di Romano Prodi e Silvio Berlusconi eletti direttamente dal popolo fino a che una nuova crisi non spazzò via anche la Seconda repubblica e impose il governo tecnico di Mario Monti. Infine la trionfale ascesa e la rovinosa caduta di Matteo Renzi spianarono la strada all'ondata populista. Ora Luigi Di Maio e Matteo Salvini vogliono comandare sottomettendo quel che resta dello Stato senza capire che qualunque politica senza lo Stato è un carro senza ruote, un potere senza freno.


(Articolo pubblicato sul n° 37 di Panorama in edicola dal 30 agosto 2018 con il titolo "Si possono sfasciare i partiti ma non si deve sfasciare lo Stato")

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