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Arresti domiciliari, litigio con la moglie e fuga? Non è reato

Ti hanno sbattuto agli arresti domiciliari e (come al solito) scoppia un litigio brutale con tua moglie? Non ce la fai a sopportarla e, sfinito, esci di casa? Bene: se contemporaneamente avvisi le forze dell'ordine, nessuno potrà accusarti di evasione

È quanto ha stabilito la sesta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 44595 del 6 ottobre 2015, le cui motivazioni sono state appena pubblicate. I supremi giudici hanno scagionato dal reato di evasione dagli arresti domiciliari un uomo, F. R., che a Messina, dopo un pesante litigio coniugale, era uscito di casa. L'uomo però aveva immediatamente avvertito per telefono gli operatori del 113 di venirlo a prendere per portarlo in prigione.

I giudici di secondo grado, invece, avevano condannato F. R. a quattro mesi di reclusione: a loro modo di vedere, l'uomo al momento del controllo non era nella sua abitazione. Tanto bastava. E nessun peso doveva essere accordato al motivo che lo aveva spinto ad allontanarsene, in quanto il reato richiede unicamente il "dolo generico".

Le ragioni personali, secondo la Corte d'appello, potevano al massimo valere ai fini della determinazione della pena. I difensori di F. R. avevano obiettato che, poiché il loro cliente non aveva mai voluto sottrarsi ai controlli, non aveva compiuto alcun reato.

La suprema corte ha dato ragione alla difesa: la norma (l'articolo 385 del codice penale) da una parte punta a soddisfare le esigenze cautelari, dall'altra vuole consentire agevoli controlli alla polizia giudiziaria. Quindi la condotta illecita tipica consiste nell'allontanarsi senza autorizzazione dal domicilio coatto e nel sottrarsi ai controlli dell'autorità.

Nel caso di F. R., invece, non sussiste nessuno di questi due elementi. Infatti, secondo la sentenza, considerato che l'imputato è stato trovato fuori dell'abitazione "in attesa dell'arrivo dei Carabinieri, che lui stesso aveva prontamente informato" chiedendo di essere sottoposto "a un regime cautelare addirittura più rigoroso", "si deve necessariamente concludere per l'assenza di offensività concreta" della condotta.

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