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Se un giornalista finisce dietro le sbarre, e non siamo in Russia

Pensavamo che fossero soltanto cose russe, e invece sono cose anche italiane, anzi italianissime.

In Russia tre giovani cantanti punk vengono condannate a due anni di carcere per teppismo religioso. Nel Belpaese il direttore di un giornale è condannato a 14 mesi di reclusione. Il caso coinvolge Alessandro Sallusti, gerente di Libero all’epoca dei fatti risalenti al 2007. Il pezzo in questione riguarda una bambina di 13 anni cui viene consentito di abortire. Su Libero compaiono un articolo che racconta i fatti (a firma di Andrea Monticone) e un corsivo vergato con uno speudonimo (Dreyfus). Il giudice, il cui nome non compare mai, si sente ugualmente offeso e sporge querela. Sallusti ne risponde in qualità di direttore e viene condannato in primo grado al pagamento di un’ammenda di meno di 5mila euro. In secondo grado, sopratutto a causa delle “dimenticanze” dei difensori, arriva la batosta: 14 mesi di carcere che, nel caso di Sallusti, non sono neppure sospendibili. Niente condizionale.

Il prossimo mercoledì si pronuncerà la Cassazione sulla legittimità della condanna in appello. Se verrà ravvisata la regolarità formale di quella sentenza di secondo grado, Sallusti dovrà varcare la soglia del carcere.

Non so a voi, ma a me sembra di stare in Russia. Non poteva bastare un risarcimento pecuniario come stabilito in primo grado? Evidentemente no. L’Italia è l’unico Paese europeo dove i reati a mezzo stampa sono valutati dalla giustizia penale e non civile. E i reati di opinione sono tanti e variegati. Colpa della politica più che dei magistrati chiamati ad applicare quelle regole liberticide. E’ arrivato forse il momento di pretendere un cambio di passo? Chissà. Intanto un fatto resta: un giornalista rischia di finire dietro le sbarre, e sono cose italiane, italianissime.

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