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Turchia: e se la Nato avesse il nemico in casa?

Si chiama R.A.P. e significa Rapid Action Plan (Piano di azione rapido). E' l'ultimo acronimo ad effetto coniato dalla Nato dopo il summit in Galles ed è la risposta alle minacce che l'Alleanza si trova (e si troverà) ad affrontare. Ma, al di là del titolo "musicale", è difficile capire quale sia il contenuto di questo piano di azione rapido. La Nato si dice impegnata nell'essere pronta a reagire con forza ai pericoli che minacciano i 28 Paesi dell'Alleanza. Ma sul come e sulla strategia da seguire è drammaticamente afona.

Al quartier generale di Bruxelles è tutto un canto e controcanto sulla necessità di "essere pronti". Sì, ma pronti a cosa? I contorni del nemico sono assai sfocati. La Nato è attualmente impegnata in un braccio di ferro con la Russia di Putin. I caccia bombardieri di Mosca hanno attraversato i cieli europei facendo scattare l'allarme. Cosa vuole ottenere l'Alleanza dallo scontro con il Cremlino? Qual è il suo obiettivo e qual è la sua strategia per perseguirlo? Nessuna risposta pervenuta. Insomma, la Nato di oggi sembra essere molto Rap e poco Swing, e intanto l'Isis bussa alle porte dell'Europa. 

E torna in mente l'antico detto cinese: "Il nemico più pericoloso ce l'abbiamo in casa e non fuori". Eppure la Nato in questo momento preferisce non guardare tra le mura domestiche, perché dovrebbe scoperchiare un vaso di pandora dalla gestione assai difficile. Uno dei suoi membri, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, è impegnato in un doppio minuetto con la Cina e con i terroristi dello Stato islamico. E non lo fa nemmeno di nascosto, perché le mosse di Ankara sono ormai sotto gli occhi di tutti. Ma, quando a Bruxelles si nomina la "questione Turchia", cala improvvisamente il silenzio e i funzionari si defilano. Nessuno vuole affrontare questo problema. Non, almeno, per adesso. Ma chiudere un occhio oggi potrebbe significare una seria minaccia nel prossimo futuro.

I fatti sul tvolo si commentano da soli. Da tempo Erdogan sta giocando una partita ambigua, una sorta di politica dei due forni. Da una parte dichiara fiducia all'Alleanza, ma concretamente cinguetta con i suoi nemici. Da più di un anno il presidente turco ha messo in piedi una gara per un nuovo sistema missilistico di Difesa. Si parla di un contratto di circa 3.4 miliardi di dollari. Secondo la prassi Nato i Paesi membri acquistano materiale bellico in conformità con le norme vigenti all'interno dell'Alleanza.

Il che significa - in soldoni - che nessun Paese Nato può acquistare armi da un Paese che non è nell'Alleanza. I tecnici lo chiamano "sistema integrato di Difesa". Ora, immaginiamo che in questo sistema un Paese decida di comprare missili con codici diversi da quelli integrati, come potrebbe fare la Turchia. In questo caso, il pericolo per la Nato sarebbe enorme: Pechino avrebbe accesso attraverso i suoi codici al sistema di Difesa dell'Alleanza. Insomma, anche i cinesi potrebbero "integrarsi".

Per questo, da settembre del 2013 i vertici della Nato stanno facendo pressione su Erdogan affinché faccia decadere le trattative con la Cina per l'acquisto dei missili. Ed Erdogan risponde prima di sì, poi di no, poi ancora di sì. Un balletto stucchevole con il risultato che la gara è ancora aperta e che i cinesi sono ancora in corsa, assieme ai francesi che rappresentano la seconda scelta. 

E poi c'è il versante Isis. La Nato è impegnata contro la minaccia terroristica globale e contro l'Isis in particolare. Ma la Turchia con l'Isis ci fa affari. Lo lascia intedere Mohammed Dahlanin un'intervista a Panorama.it e lo racconta Gian Micalessin sulle pagine de Il Giornale, che pubblica un video sulla "benzina dell'Isis" raffinata e venduta a Qamishil, villaggio siriano vicino al confine con la Turchia.

Secondo la testimonianza di una fonte anonima curda raccolta da Micalessin "La fetta più grossa delle entrate petrolifere dell'Isis non arriva da questi piccoli commerci, ma dalla Turchia. È lì che finisce la maggior parte greggio rubato dai nostri pozzi". Un giro d'affari, quello di Qamishil, che frutta all'Isis circa 1 milione di dollari al giorno. Petrolio venduto di contrabbando in Siria con il placet della Turchia. 

Secondo Mohammed Dahlan, membro del Parlamento palestinese ed esperto di anti-terrorismo, i proventi del traffico di petrolio curdo che foraggiano l'Isis ammontano a circa 3 milioni di dollari al giorno. Soldi che escono direttamente dalle casse di Ankara, Paese membro della Nato impegnata a combattere gli uomini del Califfato islamico. E la Nato cosa fa? Al momento preferisce tacere.

Così come tace anche di fronte a un video pubblicato dal Daily Mail britannico. Nelle riprese amatoriali (che potete vedere qui sotto e che non sono state verificate ufficialmente) si vedono distintamente soldati dell'Isis chiacchierare amichevolmente con uomini delle truppe turche nei pressi della città di Kobane, assediata dagli estremisti islamici e bombardata dagli americani che sostengono i Peshmerga curdi. Un curioso caso di "nemici-amici"?. 


"Tutti riconoscono il problema con la Turchia, ma nessuno ha il coraggio di affrontarlo", dichiara a Panorama.itAmer al Sabaileh, analista geopolitico ed esperto di anti-terrorismo. "La situazione è delicata ma è venuto il momento di affrontare chiaramente il nodo turco, perché se la Nato non si confronta con la Turchia oggi, potrebbe trovarsi ad affrontare nuovi e seri rischi in futuro". 

Secondo Sabaileh i terroristi possono contare su un pieno supporto logistico da parte di Ankara. "La Turchia deve decidere da che parte sta e deve anche chiarire alla Nato qual è il suo ruolo in quello che sta succedendo in Libia". "La mia impressione - conclude l'analista giordano - è che la Turchia di Erdogan stia cercando di mettere sotto assedio strategico l'Europa, dai Balcani alle coste libiche. Più aspettiamo senza agire, più rischiamo di avere un grosso problema nel prossimo futuro".

Insomma, oltre che a guardare in cielo i caccia russi, la Nato farebbe bene a restare con i piedi per terra e a mettere all'angolo chi gli siede accanto, come la Turchia. Un Paese ufficialmente membro dell'Alleanza che fa tranquillamente affari con i suoi nemici. 





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