San Marino contro le tasse (che gli italiani si sognano)

«Non escludo il ripristino di una no tax area che premi i redditi più bassi e la messa a punto di una nuova e più equa curva di aliquote impositive». Claudio Felici, segretario di stato per le Finanze di San Marino, getta acqua sul fuoco e a Panorama assicura: «Le distanze con le parti sociali non sono incolmabili». Il pomo della discordia è la riforma fiscale al via il 1° gennaio 2014 che ha fatto precipitare l’«antica terra delle libertà» (come recita il cartello d’ingresso al Titano) nel caos o quasi. Con ben 8 mila persone, ossia oltre un terzo degli abitanti, scese in piazza martedì 24 settembre a protestare contro quello che i sindacati definiscono un provvedimento «lacrime e sangue» con aumenti fino a sei volte quelli attuali per i redditi medi.

Vero. Ma che l’incidenza di tali incrementi sia comunque assai bassa se paragonata a quanto succede altrove è altrettanto vero. Un esempio per tutti: un sammarinese che guadagna oggi 20 mila euro lordi l’anno versa nei forzieri della Rocca appena 93,07 euro (meno dello 0,5 per cento del totale); con quanto previsto finora dalla riforma ne verserà invece 2.168,83 (pari al 10,8 per cento). Un italiano che guadagna la stessa cifra già ne versa più del doppio, 4.799,73 l’anno (23,9 per cento). E per i redditi più alti il divario è ancora più imponente.

«Però da noi tutto o quasi è gratuito: sanità, scuola, libri di testo e molto altro ancora» puntualizza Felici, che conta di recuperare con la nuova fase fiscale 40 milioni l’anno. E ammette: «La vera sfida sarà fare pagare tutti», lavoratori autonomi compresi. Perché a San Marino non c’è l’obbligo dello scontrino fiscale, non c’è l’obbligo della fatturazione e non c’è nemmeno una polizia tributaria che contrasti l’assai diffusa evasione. Comunque i tempi delle vacche grasse sono finiti pure sotto il Titano e Felici promette battaglia. Non ci sono alternative. Il 2013 verrà archiviato con un deficit di 31 milioni di euro. Per fare un paragone, è come se l’Italia chiudesse con un buco da 120 miliardi di euro.

Per di più l’uscita dalla lista nera dei paradisi fiscali della Rocca non è ancora definita. Manca l’avallo del governo italiano. «Nonostante l’accordo sulla doppia imposizione fiscale sui redditi nei due stati sia cosa fatta» conclude Felici. E scuote la testa: «Temo che ora abbiano altre priorità».

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