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Russia-Cina, prepariamoci a un nuovo ordine mondiale

di Evgeny Utkin*

Il rapporto privilegiato tra la Russia e l'Europa si è rotto. Il Vecchio Continente rimane per Mosca il principale partner commerciale, con interscambi da capogiro (circa 400 miliardi di dollari), ma solo nel suo complesso, perché se si guarda all'Unione europea Paese per Paese, allora ci si trova davanti a un rompicapo di interessi (e pensieri) diversi, mentre la Cina già da tempo è diventata il primo partner "unico" commerciale della Federazione russa, e con gli accordi appena siglati a Shangai il patto già di ferro tra Pechino e Mosca sarà ancora più forte. Il che non fa bene all'Europa.

La crisi ucraina è sfociata in una svolta imprevista. Se, da una parte, l'Europa ha scelto la linea di condotta americana, appoggiando senza se e senza ma il nuovo governo di Kiev e punendo la Russia per il suo interventismo attraverso sanzioni anti-Putin (seppur di poco conto), dall'altra parte la Cina ha tenuto un comportamento più cauto, e ha preferito stare alle spalle di Mosca offrendole un appoggio silenzioso.

Offesa e non compresa dall'amica Europa, la Russia ha guardato verso Oriente, ha fatto i bagagli con i suoi asset più vendibili (le risorse naturali) e ha preso il treno in direzione dell'Impero Celeste. Solo pochi giorni fa i maggiori esperti mondiali scommettevano sul fatto che Vladimir Putin non sarebbe riuscito a perforare l'indistruttibile muraglia cinese, scavando una breccia nella difesa di Pechino, arroccata su un prezzo molto basso per le forniture di gas.

Lo scriveva a caratteri cubitali il Financial Times, bibbia della finanza mondiale, e dietro al quotidiano britannico andavano un po' tutti. Ma analisti ed esperti hanno dimenticato di valutare il carattere di Putin, che non a caso è cintura nera di Judo e lottatore fino all'ultimo istante. Il presidente russo ha dimostrato di essere un ottimo giocatore di scacchi ed è riuscito a siglare l'accordo con la Cina proprio all'ultima mossa.

Dopo dieci lunghi anni di trattative e un interminabile tavolo per i negoziati bilaterali, oggi i cinesi hanno di che essere contenti. Sono riusciti ad abbassare il prezzo del gas venduto da Mosca di una cinquantina di miliardi su un totale di 400 e, allo stesso tempo, sono riusciti ad aggiudicarsi forniture sicure per i prossimi trenta anni, a cominciare dal 2018 con 38 miliardi di mc di gas (molto di più di quello che la Russia porta in Italia e come quantità equivalente alla metà del consumo italiano).

Poi si vedrà, ma la prospettiva è di aumentare i volumi fino a 60 miliardi di mc all'anno. Il tutto per saziare almeno in parte l’enorme sete d’energia del colosso cinese, che ormai è diventato la prima economia del mondo. Ovviamente, saziare la Cina significa farla diventare ancora più forte.

E dall'altra parte del globo come reagiscono? L’America è molto preoccupata di perdere la leadership mondiale, anche a causa dei suoi reiterati errori. Più di qualsiasi altra cosa gli Usa nutrono una vera e propria allergia nei confronti degli sforzi russo-cinesi di staccarsi dall'influenza del dollaro. Il contratto tra Mosca e Pechino, pur firmato in dollari (come valuta di riferimento), vedrà poi realmente girare rubli e yuan, facendo diventare queste due valute un riferimento regionale.  

E l’Europa? L'Unione sta preparando le elezioni ed è torturata dai suoi problemi interni, sicché preferisce assistere passivamente a quello che sta succedendo altrove. Fino a ieri gli europei dicevano: "La Russia ha solo il mercato europeo, quindi per forza porterà a noi il suo gas", con le sanzioni o senza. Sulla scia di questa convinzione, i capi delle maggiori compagnie energetiche italiane e tedesche hanno disertato il Forum di San Pietroburgo , dopo essere stati gli speaker per anni (ma i francesi e gli inglesi no però).

Parlando all'ultimo Festival dell’Energia che si è recentemente tenuto a Milano, ho ammesso che la strada della Cina  è vicina e Putin avrebbe tentato di firmare l’accordo sul gas, ma in ogni caso l’Europa resterà un partner privilegiato della Russia. Perché Mosca e Bruxelles sono legate da rapporti storici e culturali di lunga data, e poi - cosa non secondaria - perché l'Europa è un cliente che paga in modo congruo.

Dall'altro lato, da decenni la Russia è per l'Europa un partner affidabile e negli ultimi anni ha interrotto le forniture (solo per pochi giorni) in seguito alla disputa con l’Ucraina. Inoltre, va detto che i i prezzi russi non sono più alti di quelli degli altri fornitori. Pur di non avere nessun problema di transito, Mosca ha costruito il gasdotto Nord Stream (che passa direttamente in Germania sotto il Mar Baltico,) e sta pensando di costruire South Stream (che passa sotto Mar Nero in Bulgaria, escludendo l’Ucraina).

Sforzi e investimenti enormi, per aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti. Ma se la Russia si troverà davanti ostacoli politici, allora dovrà guardare anche altri mercati, e l’accordo siglato con la Cina ne è la dimostrazione. E la povera Ucraina come c’entra in questo panorama geopolitico?

Barack Obama, che ha promesso di portare lo shale gas a stelle e a strisce in Europa, non ha detto probabilmente tutto. Ossia che portare il gas dagli USA all'Ue costa molto e quindi il suo prezzo sarà probabilmente più alto della media dei prezzi di oggi. 

Ma, se Obama non avesse bluffato e in realtà stesse parlando del "suo" gas intendendo quello dell’Ucraina? Non è un segreto che l'Ucraina ha il suo shale gas, attraverso il quale vuole diminuire la dipendenza dalla Russia, oppure staccarsi proprio dalla Federazione. Ma se lo shale gas ucraino fosse tanto, potrebbe bastare anche per essere portato sul mercato europeo?

In questo caso non ci sarebbe bisogno di costruire costosissimi impianti di liquefazione e navi-gasiere, perché si potrebbe usare la rete dell'ex Unione sovietica ereditata dall'Ucraina, la rete dove transita la maggior parte del gas russo verso l’Europa. L'equazione è facile: si può avere l’oro blu in Ucraina a costo di produzione americano e venderlo in Europa a prezzi triplicati.  

A pensare così forse si sbaglia, ma certamente non si commette peccato, soprattutto quando si legge delle nuove nomine ai vertici di Burisma , la principale compagnia privata ucraina per il gas (che ha i permessi per lo sviluppo dello shale gas in Ucraina, in particolare nella regione di Donetsk) del figlio del vicepresidente americano  Joe Biden, Hunter, e dell’amico del (figliastro del) segretario di Stato John Kerry, Devon Archer.

A completare il pittoresco board of directors è entrato anche Aleksander Kwasniewski, il presidente polacco dal 1995 al 2005. Anche in Polonia c’è lo shale gas, ma l’entusiasmo è molto più moderato, a causa dei problemi ecologici e degli scarsi risultati. Ma in Ucraina, in pieno conflitto, sotto gli spari, nessuno certo andrà a preoccuparsi dell'ecologia. E il gioco è fatto.

*economista e direttore di PARTNER № 1

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