Risparmio: ecco come investono (male) gli italiani

Finanza, una materia sconosciuta. Il Rapporto 2016 della Consob conferma il basso livello di conoscenza della materia tra gli italiani. Secondo l'indagine circa 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario: detto altrimenti, un italiano su cinque non sa cosa siano conti di deposito, azioni, obbligazioni, titoli di stato o strumenti più comuni di risparmio gestito, come i fondi comuni.

La situazione non migliora tra chi investe: l'8% non sa cosa possiede, mentre il restante 80% indica per lo più i titoli di stato e le obbligazioni bancarie, che nei casi dei quattro istituti regionali falliti a fine 2015 (Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti) hanno lasciato migliaia di risparmiatori con un pugno di mosche in mano, come accadde del resto con i tango bond nel 2001 e con le obbligazioni Cirio nel 2002 e Parmalat nel 2003.

La fotografia non migliora se si considerano nozioni economico-finanziarie fondamentali per gli investimenti: solo il 40% degli intervistati sa cos’è l’inflazione o il rapporto rischio/rendimento, mentre concetti più sofisticati registrano percentuali inferiori. Qualche esempio? Si legge spesso sui giornali che stiamo vivendo nell’era dei tassi zero o negativi, ma la stragrande maggioranza degli italiani non sa di che cosa si tratti.

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La scarsa educazione finanziaria
Perché sono concetti importanti e perché dovrebbero essere diffusi tra la popolazione? Lo spiega sempre la Consob: la ridotta alfabetizzazione finanziaria non solo "incide sensibilmente sulla comprensione dell'andamento dei mercati e di nuovi fenomeni congiunturali", ma può avere conseguenze pratiche ben più gravi, perché "le scelte degli individui possono essere influenzate anche da una percezione distorta delle proprie competenze".

Il punto è quella che in gergo finanziario (e cioè in inglese) si chiama overconfidence e cioè la sopravvalutazione del proprio giudizio: circa l'85% degli intervistati, infatti, si attribuisce capacità almeno nella media con riferimento alle decisioni di risparmio, amministrazione del bilancio familiare e controllo delle spese inutili. E anche se sei su dieci risparmiano in modo regolare, solo in pochi poi sanno poi come far "lavorare" bene il denaro: il concetto di diversificazione, che dovrebbe far parte del bagaglio conoscitivo anche degli investitori meno esperti, è ai più sconosciuto - solo il 6% sa che mettere le uova nello stesso paniere è rischioso.

Qualche esempio: alcuni si dichiarano disposti a investire in numerosi titoli, ma tutti a basso rischio, che è palesemente una falsa diversificazione. Altri, addirittura, hanno una concezione erronea della relazione tra rischio e rendimento: si sono dichiarati disposti a investire soltanto in prodotti a basso rischio e alto rendimento, quando invece in finanza vale la regola "chi non risica non rosica".

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Vale ancora il consiglio dell'amico
Pur essendo la finanza una materia quasi sconosciuta, il 24% degli italiani decide in maniera autonoma, il 38% segue i suggerimenti di familiari e colleghi, mentre solo il 28% chiede un consiglio a un professionista del settore e il 10% delega il tutto a un esperto.

I risultati di questa "saccenteria" finanziaria si vedono sul portafoglio delle famiglie: dal 2007 al 2015 è diminuita la partecipazione relativa a titoli del debito pubblico domestico, prodotti del risparmio gestito e azioni quotate italiane, mentre al contrario è aumentata la quota di famiglie che possiedono obbligazioni bancarie italiane: nonostante il bail-in (entrato in vigore il primo gennaio 2016) sono il prodotto più diffuso a fine 2015.

Gran parte dei risparmi è ancora detenuto nel risparmio postale e nei depositi bancari: l'incidenza sulle attività totali è passata dal 38% nel 2007 (anno pre-crisi) al 52% nel 2015.

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