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Alla ricerca dell'altra verità, la vera diversity per innovare oltre la gerarchia

Le gerarchie nascono negli eserciti e sono utili in guerra. In quel contesto, in cui si rischia la vita, occorre pianificare la strategia e le tattiche, impartendo ordini che i militari debbono eseguire, senza discussioni ed indugi. Altrimenti rischierebbero di compromettere la vittoria, mettendo a rischio la vita propria e di altri.

Le gerarchie sono utili nelle aziende: propongono regole da seguire e creano status che spinge all’emulazione. Se questo status deriva dal merito, dai risultati conseguiti, si affermano comportamenti volti a imitare i capi.

Tuttavia, per il cambiamento e l’innovazione, la gerarchia rischia di essere un limite, perché può alimentare, in chi non ha potere, l’attenuante culturale del non posso far nulla per cambiare le cose. Si attende che ad innovare sia il top management, e non ci si dà da fare per mutare lo status quo.

Questo atteggiamento è deleterio, perché il volere del vertice aziendale è condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché si innovi. Occorre il contributo di tutti, perché tutti possono dare idee nuove, e senza il loro contributo quelle idee non possono realizzarsi!

L’azienda moderna vive se innova, e non può farlo grazie solo al suo vertice. Un corpo ha bisogno di cambiare in tutte le sue parti: se non mutassimo la pelle delle labbra ogni due ore, moriremmo, anche se tutto il resto del corpo continuasse a funzionare bene.

Ognuno di noi può cambiare, se lo vuole, a tre livelli: nel proprio modo di pensare (ne abbiamo controllo e libertà!), influenzando i colleghi con l’esempio e fornendo idee ai suoi capi. L’impresa deve dotarsi di strumenti di ascolto di colleghi e stakeholder esterni, perché le idee nuove non hanno gerarchia né localizzazione certa, ma solo la potenza di sogni che, se realizzati, migliorano il mondo.

Per contrappasso, nel coltivare idee nuove, le persone con maggior potere gerarchico sono le più penalizzate. Infatti rischiano di attorniarsi di yes-man che assecondano il loro pensiero, rendendole prigioniere dei propri paradigmi mentali, idee e convinzioni.

Per evitare questo rischio, chi ha potere gerarchico può incentivare il pensiero “diverso”, stimolando i colleghi a proporre visioni del mondo alternative alle proprie. Diversity non è infatti avere più donne in azienda, o persone di culture, età o orientamento sessuale diverso. Diversity è cultura della libertà e del dissenso: permettere di discutere l’opinione dei capi per creare un’azienda ed un mondo nuovo e migliore.

Un modo innovativo per farlo? Se siete un manager con delle persone che dipendono da voi, proponete loro una tesi opposta a quella che pensate sia giusta, e chiedete loro perché è bene sposarla.

Potrete verificare due cose: chi la pensa veramente come voi, perché vi contraddice, proponendo ciò che in realtà voi pensate. Ed avrete chiari i limiti del vostro pensiero, perché chi vi asseconda, vi supporterà nel sostenere la tesi opposta a quella che segretamente ritenete giusta, fornendovi una visione della realtà complementare alla vostra. Quella che Alda Merini chiamava l’altra verità: la più affascinante, perché dissonante rispetto al vostro pensiero.

L’altra verità: l’unica che può farvi crescere, e che non è mai la vostra.

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