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ANSA/ANGELO CARCONI
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Referendum trivelle: la vittoria di Renzi

In politica si vince o si perde, come a poker. Chi bleffa e viene “visto”, dice ciao al piatto: il “ciaone” twittato ieri da un fedelissimo di Matteo Renzi a tutti i referendari. Polemiche a non finire per quello sberleffo a urne aperte. Ma la realtà è una e semplice: Renzi esce vincitore da una partita tutta costruita per dargli una spallata e diventata suo malgrado un asso nella manica del governo. Una vittoria che lo aiuta ad affrontare col conforto delle urne un altro tratto di legislatura.

Mancando di investitura popolare diretta, Renzi riesce con l’abilità che lo contraddistingue a far tesoro degli errori dei nemici. Con la tempestività del gatto che s’avventa sulla preda, convoca una conferenza stampa a urne calde e dice una cosa di sinistra (“Hanno vinto i lavoratori”) e una di destra (“La demagogia non paga”). A suo modo è coerente. Continua a dar legnate alla sinistra interna ed esterna demagogiche, e ammiccare ai moderati. Perciò la posizione più lucida nel centrodestra resta quella di Silvio Berlusconi che avverte i suoi che non sarà con questo referendum che si potrà disarcionare Renzi.

Colpisce che personaggi per vocazione contrari alle ragioni stesse del quesito referendario e quindi oggettivamente vicini al premier siano rumorosamente andati a votare “sì” solo per dire “no” a Renzi. Atteggiamenti che non pagano, che l’elettorato moderato non riesce a comprendere, e che spostano fasce di potenziali elettori di centro verso il pragmatismo renziano. Naturalmente, adesso il problema per lui è opposto a quello che ha dovuto fronteggiare col referendum sulle trivelle. Mentre in quel caso ha invitato a non votare (poteva farlo: non c’è alcun obbligo né giuridico né costituzionale di votare in un referendum per il quale la Costituzione stessa prevede il quorum), nella prossima consultazione sulla riforma costituzionale dovrà mobilitare la metà più uno degli aventi diritto, portando alle urne gli italiani con un entusiasmo inverso e proporzionale alla disaffezione che li ha tenuti lontani dai seggi sulle trivelle.

Probabile che ci riesca. La battaglia per cambiare il Senato ha più senso referendario di quella sul prolungamento delle concessioni per le piattaforme “entro le 12 miglia” dalle coste. Forse, più che agitarsi inutilmente su temi coriacei e perdenti, nel centrodestra ci si dovrebbe cominciare a organizzare attorno a idee, anche poche ma che siano dritte e coerenti.

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