Quello che Mauro Moretti non può dire

La parola chiave è “criteri”. I top manager delle aziende pubbliche in Italia rivendicano la moralità di quello che guadagnano (cifre astronomiche per i comuni mortali) e in teoria hanno perfino ragione. Il top manager di una top azienda ha responsabilità immense di gestione economica e di gestione delle persone. Se fa bene il suo lavoro, nessuno stipendio è troppo basso ed è giusto che sia il mercato a stabilirlo. Ma che cosa significa “mercato”?

Il mercato è una sana e trasparente competizione aperta al mondo e fondata sul merito, cioè su “criteri” riconosciuti e verificabili di selezione. In Italia i top manager vengono scelti in questo modo? No. I top manager delle top aziende sono scelti principalmente in base all’appartenenza politica, alla vicinanza ai potenti di turno, alla “affidabilità” (cioè obbedienza), alla spartizione lottizzatoria tra partiti che allungano le mani pure sulle piccole posizioni, figuriamoci su quelle apicali. Nell’ottica dei politici e dei partiti italiani, finora, la possibilità di alzare la cornetta e parlare direttamente con il top manager che deve tutto a loro e non ai propri meriti significa poter contare su leve di potere clientelare. Sulla distribuzione di assunzioni, promozioni e appalti. Il mercato, in questo caso, è mercato sì, ma delle vacche.

All’estero, in Europa, nel mondo, non funziona così. Ci sono “criteri”. Certo, valgono anche in altri paesi le reti di conoscenze, le amicizie e in qualche caso l’affidabilità personale, il rapporto di fiducia col potente. Ma valgono anzitutto i criteri di reclutamento. I numeri. La valutazione dei titoli e dell’esperienza. Un Phd vale più di un master. Un curriculum con buoni risultati in una grande azienda e la comprovata capacità di gestione delle persone conta più di qualche cena sociale o della frequentazione di qualche salotto. Ecco perché il ragionamento di Moretti, Ad delle Ferrovie, per cui se lo Stato taglia lo stipendio a te top manager, tu vai all’estero, è valido in linea di principio ma s’infrange sullo scoglio dell’ipocrisia di sistema. L’Italia non è un paese per meritevoli. Ai piani bassi come in quelli più alti.

Il valzer delle poltrone è stato finora un affare interno ai partiti e alle loro correnti. Il merito è stato sconfitto e umiliato. Una vera apertura al mercato giustificherebbe stipendi altissimi. Ma non c’è.

Vorremmo vedere all’opera, nella selezione dei top manager, i cacciatori di teste (una vera caccia con veri cacciatori). Vorremmo vedere pubblici concorsi e bandi aperti anche a competitori stranieri perché noi cerchiamo i migliori. Vorremmo esercitare un controllo sulle scelte. E vorremmo legare la permanenza dei manager, la loro conferma, le loro indennità, ai risultati che avranno (o non avranno) conseguito. Finché questo in Italia non succederà, qualsiasi discorso sulla moralità di buste astronomiche sarà minato da una immoralità di fondo che si chiama “nomina politica”. Ora Matteo Renzi e i suoi ministri hanno la possibilità di dimostrare che fanno sul serio, che realmente vogliono cambiar verso all’Italia, operando scelte trasparenti nell’imminente stagione di centinaia di nomine pubbliche. Ci riusciranno? Vorranno farlo? Lo sapremo molto presto. 

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