Qualcosa che stona

L’assoluzione in appello dei generali croati Gotovina e Markač, appena annunciata dal Tribunale Internazionale dell’Aja, ha causato reazioni ovvie (nel doppio senso che c’erano da aspettarsi reazioni, e che sono esattamente quelle che ci si attendeva) e accese nelle ex repubbliche jugoslave.

La decisione ha certamente un significato storico e politico forte, che varrà la pena di analizzare; ma sarebbe superficiale scriverne ora, senza un’adeguata riflessione e senza aver raccolto fonti sufficienti.

Per il momento mi limito perciò a suggerire una riflessione, più che a fornirne qualcuna: la protesta serba contro l’assoluzione dei due militari è avvenuta per bocca di Rasim Ljajić, vicepremier serbo e responsabile della cooperazione con il tribunale internazionale. Questi è un musulmano originario del Sangiaccato, già ministro in diversi governi serbi; e la sua presenza non è affatto eccezionale, giacché la Serbia è, numeri alla mano, l’unico stato ex jugoslavo ad aver mantenuto la vecchia molteplicità etnica e religiosa. Questo, non c’è neanche bisogno di specificarlo, non cancella né attenua in alcun modo le pesanti responsabilità – politiche e criminali – dei serbi e della Serbia nelle guerre civili degli anni ’90 e nei fatti che le hanno precedute e preparate; né legittima, di per sé, le rivendicazioni e le recriminazioni serbe.

Ma è indiscutibile che questa realtà è lontanissima dallo stereotipo che viene ancora generalmente applicato alla Serbia. E si può comprendere che lo stridente contrasto fra realtà e rappresentazione frustri e addolori l’opinione pubblica serba; si comprende meno che i media occidentali, nella loro stragrande maggioranza, non avvertano tale contraddizione e non sentano l’esigenza di correggere un modo di raccontare le cose che è vecchio e inadeguato.

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