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Polveriera Libia: la mappa degli scontri

 A tre anni dalla morte di Muhammar Gheddafi la Libia sembra ormai essere sull’orlo della catastrofe. Non solo a sudovest di Tripoli, dove il 13 ottobre sono scoppiati violenti scontri tra le forze della coalizione islamista Alba Libica e le milizie filogovernative  del generale Khalifa Haftar, ma anche a Bengasi, nei pressi dell'aereoporto Benina, dove stamane sono andati in scena sanguinosi combattimenti  tra gli islamisti di Ansar al Sharia e le milizie speciali filogovernative che hanno lasciato sul terreno decine di morti. Tutto il Paese insomma è in preda a violente convulsioni, con l'esercito libico, le milizie armate autonome e le fazioni islamiste che si combattono senza esclusione di colpi,  alleandosi di volta in volta con i clan storicamente padroni del territorio.

Secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, la battaglia per la presa di Bengasi potrebbe risolversi a favore degli islamisti, che controllano già Tripoli, e che - secondo Mohammed Al-Zahawi, comandante di Ansar Al Sharia a Bengasi - potrebbero presto sferrare l'attacco decisivo. È però tutta la Libia che è una polveriera, dove si contano 1.700 differenti milizie armate: uno Stato fallito dove si alimentano a vicenda banditismo e fanatismo, sovrapponendosi in un quadro di totale assenza di ordine pubblico. C'è un governo centrale debolissimo stanziato ormai a centinaia di chilometri da Tripoli, una lacerazione ormai insanabile tra l’anima araba e quella africana, una spaccatura anche geografica tra la Cirenaica laica controllata dal Parlamento ufficiale (a est), la Tripolitania finita sotto il giogo degli islamici del Congresso generale che hanno ormai il controllo del principale giacimento del Paese (a ovest), e il Fezzan sahariano, a sud, diviso in tribù berbere spesso in guerra. E infine una guerra del tutti contro tutti dove a comandare sono i war lords.

È però tutta la Libia che è una polveriera, dove si contano 1.700 differenti milizie armate in lotta tra loro

Si combatte a Tripoli (in mano agli islamici), a Bengasi, a Sirte (dove è stato ucciso Gheddafi), anche sulle montagne di Nafusah, roccaforte di quelle  tribù berbere (gli amazig) che lanciarono l’attacco decisivo nell’agosto 2011 e che per anni sono state schiacciate sotto il tallone di Gheddafi. Le stime fornite il 10 ottobre dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) fotografano meglio di qualsiasi analisi la drammatica situazione nel Paese: le ultime tre settimane di scontri hanno prodotto almeno 100mila tra dispersi e rifugiati, mentre il numero complessivo di profughi è ormai vicino alle 290mila persone. Una polveriera dove si allunga lo spettro della penetrazione dell'Isis. E dove le vie d'uscita - timidamente tentate dalla comunità internazionale - non sembrano esserci. Le fazioni in lotta rifiutano di riconoscere alcuna legittimità alle controparti. L'unica via pare essere, per i signori della guerra, la capitolazione degli avversari.

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