PlayLink, la nostra prova dell'incontro tra PS4 e smartphone

da Los Angeles

Rimasto fuori dalla conferenza ufficiale dell’E3 con la sua sfilata di titoli, PlayLink è un nuovo sistema pensato per chi vive i videogame come sistemi d’intrattenimento semplici, immediati, da condividere con gli amici. Si tratta infatti di un meccanismo per interagire con la PS4, oltre che con il classico controller, con uno smartphone (sia iPhone che Android) su cui scaricare le applicazioni corrispondenti ai titoli che s’intende giocare sulla tv.

Più difficile da raccontare che da usare, PlayLink è uno di quei meccanismi con cui si prende dimestichezza immediata, come abbiamo avuto modo di verificare durante la nostra prova di oltre un’ora in uno spazio dedicato nello stand Sony alla fiera di Los Angeles.

Le varie proposte sono tutte pensate per chiamare dentro persino i più allergici e restii alle dinamiche del gaming. Ecco infatti «Frantics» (immagine d’apertura): si parte con un selfie che ci identifica con un simpatico animale digitale e si accede a un mondo parallelo in cui bisogna spintonare i propri avversari da un ghiacciaio scivoloso o lanciarsi in un spericolato salto col paracadute.

Per muoversi, è sufficiente oscillare lo smartphone verso destra, sinistra, all’avanti o all’indietro, premendo un pulsante virtuale sul display quando è opportuno aprire il paracadute per non sfracellarsi al suolo. Grandi risate e abbondanza di colpi proibiti, perché i nostri sfidanti sono seduti accanto a noi sul divano brandendo il loro telefonino.

Lo storytelling vive in tanti mini-giochi ed è più ampio: Sony è stata intelligente nel chiedere agli sviluppatori di sfruttare in pieno le dinamiche d’uso del cellulare. Che può all’occorrenza squillare, dando una missione segreta a uno dei giocatori, nel nostro caso quella di impegnarsi a facilitare qualcuno. La ricompensa? Crediti extra da spendere a un’asta per potenziarsi per le gare successive.

Morale della prova: per un po’ di tempo spensierato, funziona eccome. E cadono timidezze d’inesperienza. È veramente alla portata di tutti.

Marco Morello

Molto curate le atmosfere di «That’s you» (in italiano sarà «Dimmi chi sei», sopra un momento della prova), un universo con tocchi vintage stipato all’interno di un enorme valigione interattivo. Di nuovo si parte con un selfie e occorre rispondere a domande sugli altri partecipanti tentando di metterli in imbarazzo. «Chi vedresti bene in un campo nudista?». E giù immaginazione e aneddoti, lasciapassare per agevolare possibili flirt e altre derive da tempi del liceo.

Un «obbligo o verità» con strumenti tecnologici contemporanei, per esempio la possibilità di fare disegni elementari con le dita, un po’ come sulle foto inviate su WhatsApp o nelle storie di Instagram. Le contaminazioni con le prassi dei social network sono palesi, il bello è che qui gli amici non sono virtuali, almeno condividono la stessa stanza.


PlayStation

Il clima rilassato scompare in «Hidden agenda», un poliziesco sviluppato secondo i canoni della storia a bivi. L’irruzione dalla porta principale o da quella di servizio, l’uccisione di un killer o la sua salvezza passano da sondaggi in tempo reale tra i partecipanti (fino a sei), che determinano le pieghe della storia. Ma lo sviluppo non è così lineare: giocando una sorta di jolly, si può prendere il controllo e imporre agli altri la propria strategia. Mentre nulla è come sembra: uno dei nostri amici potrebbe essere un traditore che sta facendo il doppio gioco.

Mentre la storia si dipana sul televisore, sullo smartphone si possono leggere le biografie dei protagonisti per intuire la maniera migliore per pilotarli o un breve riassunto dei momenti salienti dell’azione. Così il dialogo tra il piccolo schermo personale e quello grande condiviso assume senso.

PlayStation

Senso che è pienissimo in «Knowledge is power». Le domande si leggono sulla tv, ognuno dei concorrenti risponde sul telefonino, alla fine si proclama il vincitore.

Non è nulla di nuovissimo, è dai tempi della prima Wii che è consolidata la logica del videogame casual al plurale. Qui la furbizia è inserire una variabile che tutti hanno con sé e maneggiano con facilità e fiducia: lo smartphone. Sperando che il flusso parallelo di chat, sms e telefonate in entrata che lo popola, non distragga troppo i partecipanti e finisca per rovinare la festa.

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