Più discrezione, Tortora

Da Panorama del 6 ottobre 1985


Forse sono stato il primo a porre la domanda: "E se Tortora fosse innocente?" perché ero rimasto turbato da come la tv, i giornali, e soprattutto certi magistrati trattavano il caso. Mi ripeto: ma dal palazzo di Giustizia di Napoli uscivano accuse, poi smentite da fatti e da querele, di furti ai danni dei terremotati, di lussuose barche da diporto, di intrallazzi mai documentati. L' inchiesta assumeva i colori di una persecuzione.

Ho anche scritto, tempo fa, che lo avrebbero condannato: non sono un esperto del diritto, ma ho seguito il dibattimento e, soprattutto, mi sono reso conto del clima che si era creato: nella storia giudiziaria si è inserita, e pesantemente, la politica. Mi è sembrata una specie di sfida: ed Enzo Tortora ha perso. Io non credo che i tre uomini in toga che hanno emesso la sentenza siano stati mossi da un acre risentimento di rivincita: perché sono portato a riconoscere la buona fede anche in coloro che non la pensano come me.

Mi colpisce però una anticipazione dell' Unità (altro che segreto istruttorio): uno dei "riscontri" alle "spontanee confessioni dei pentiti" sarebbe la deposizione della signora Castellini, moglie del pittore Ettore Margutti. Mi è sempre stato difficile capire perché una donna che sta perdendo le mutandine cerchi rifugio in uno studio invece che in un bagno, e ostinandomi a credere Tortora persona intelligente, non mi rendo conto di perché la cocaina se la facesse portare, a pacchetti, ad Antenna 3, invece che a casa o al bar della stazione. Imperdonabile errore tecnico. La signora Margutti, dopo quattro anni, ricordava "persino il colore del vestito che indossava il presentatore": provate a dirmi di che tinta era quello che avete messo l'ultimo Natale. Un prodigio.

Trovo legittimo e umano che l'onorevole Tortora difenda con ogni mezzo la sua vita e la sua innocenza, ma condivido l'opinione di Domenico Bartoli: tutto questo frastuono, che va oltre il diritto di critica, non gli gioverà.

Anche sotto la toga c'è gente come noi, e poi un dramma si sta trasformando in una sceneggiata, con silenzi incomprensibili e discorsi con accompagnamento di tamburi. Fa bene a parlare con chi e quando vuole: il problema è solo di misura, di discrezione. Tortora ironizza sulla simpatia, che determina anche certe assurde reazioni, ma anche lo sdegno e il dolore non escludono la pacatezza. Oltre che un radicale, è anche un imputato. Centoventi degli accusati del megaprocesso, dopo ventisette mesi di detenzione, sono stati assolti: è un dato che fa pensare. Come minimo, a un'istruttoria in molti punti fragile.

Auguro a Tortora che, in appello, la sua sconcertante vicenda si concluda con lo stesso verdetto. Non ho mutato il mio atteggiamento, ma penso che - e sarà una visione ristretta - egli debba battersi, più che per la salvezza della giustizia, per la sua.

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