Pinocchio e la necessità di mentire

di Andrea Tagliapietra

Perché ci ostiniamo a dire le bugie pur sapendo che, prima o poi, verremo scoperti? Forse perché è più forte di noi, forse perché non riusciamo a farne a meno. La menzogna, assai più della verità, rivela la complessità della natura umana. L’uomo è un animale simbolico, che ha un rapporto con la realtà e con se stesso sempre mediato da parole, immagini, discorsi e racconti. La favola italiana più nota al mondo è senza dubbio Pinocchio, che negli anni Quaranta del secolo scorso la Disney ha consegnato alla macchina dell’industria culturale e che in questi giorni torna ancora una volta sugli schermi cinematografici con le fiammeggianti pitture animate del cartone di Enzo D’Alò .

Come i bambini veri, Pinocchio impara cos’è la verità solo dopo aver detto un sacco di bugie. Il test di Sally e Anne, che gli psicologi infantili impiegano per saggiare l’acquisizione delle funzioni cognitive superiori e nella diagnosi dell’autismo, mostra che i bambini acquisiscono il concetto di verità solo in seguito al possesso delle nozioni di inganno e di errore. Perché la verità è che le bugie ci mettono in contatto con gli altri. Sia quando ne siamo vittime sia quando ne siamo autori. Per mentire con successo, infatti, bisogna farsi un’idea, per quanto approssimativa e stereotipata, della mente altrui, dei suoi desideri e delle sue aspettative. Ecco un’altra ragione per cui si mente spesso, ossia per andare incontro agli altri, per essere accettati e accolti.

Al di là delle menzogne giuridicamente perseguibili e del valore eticamente negativo del mentire, bugie e malintesi costituiscono la trama sottile dell’agire sociale, il tessuto connettivo della nostra vita adulta, ossia della vita quotidiana come rappresentazione. Già Aristotele distingueva la gravità del mentire sulle cose e per denaro, cioè la frode e l’inganno di cui si occupano i tribunali, da quel mentire su se stessi che si incarna nella figura di colui che esibisce meriti che non possiede per la vanità di apparire. Pensando ai titoli accademici mai ottenuti di Oscar Giannino , ma anche alle tesi di dottorato plagiate dai ministri dell’Economia e dell’Istruzione del governo di Angela Merkel, fino alla laurea millantata da Renzo Bossi, non possiamo non sorridere. Ma sorridiamo pure di fronte al lavoro di Photoshop su cellulite, glutei e seni delle star del mondo dello spettacolo e innanzi all’incremento esponenziale delle menzogne narcisistiche prodotto da Facebook e dagli altri social network.

Queste "spiritose invenzioni", come chiama le bugie il protagonista del Bugiardo di Carlo Goldoni, finiscono spesso per ritorcersi contro i loro autori, producendo più danni dei vantaggi d’immagine che avrebbero voluto assicurare. Internet ci può rendere più bugiardi, per la possibilità dell’anonimato e
per la rapidità con cui un dato o una notizia falsi possono produrre cascate informative e generare, quindi, un’apparente impressione di verità condivisa; ma può anche funzionare come memoria globale, che aiuta a smascherare le grandi menzogne del potere, come il caso Wikileaks dimostra.

Comunque, rimane da discutere se la bugia più grave sia inventarsi un master in economia a Chicago, come ha fatto Giannino, o presentare come verità scientifica certe teorie economiche oggi imperanti, delle quali si nasconde il carattere congetturale e relativo, ossia storico e legato a interessi dominanti. Per esempio quello dei grandi potentati finanziari internazionali, che impongono la loro volontà infischiandosene delle democrazie degli stati e dell’impegno con cui i cittadini partecipano al teatrino delle campagne elettorali, come quella che si è appena conclusa. Ma in genere è conseguenza del moralismo contemporaneo di ascendenza puritana, che il mondo anglosassone ha imposto alla cultura globale, l’attenzione morbosa sulle menzogne individuali e private e la tendenziale indulgenza rispetto a quelle, ben più gravi, che riguardano la società, il potere e le sue strutture istituzionali.

Resta paradigmatico in proposito il diverso trattamento della bugia privata, di natura sessuale, che portò Bill Clinton, a detta di molti il miglior presidente degli Stati Uniti degli ultimi decenni, sull’orlo delle dimissioni, rispetto alla reazione degli americani, che rielessero George Bush malgrado avesse avallato la menzogna delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e collegato artatamente la chiusura dei conti, di carattere familiare, nei confronti del dittatore iracheno, all’attentato dell’11 settembre. Il pubblico si ricordava un vestito macchiato di sperma, ma non vedeva (e non gliele mostravano) le bare dei soldati e lo sporco affare della guerra.

Questo singolare strabismo si può cogliere anche tornando alla nostra favola, di cui tutti ricordano il naso di Pinocchio che cresce e si allunga a vista d’occhio, emblema delle bugie "private" che si vedono, infatti, nell’istante stesso in cui vengono pronunciate e che, alla fine, non fanno male se non a colui che le dice. Ma la fiaba di Carlo Collodi, come molti inebriati dal buonismo disneyano della Fata turchina dimenticano, ci mostra anche Pinocchio vittima di menzogne nere, terribili e atroci, come quelle del Gatto e la Volpe e del Paese dei balocchi. Trasparente metafora, quest’ultimo, del rimbambimento asinino della cultura dello spettacolo e del consumo, che predispone alla schiavitù scarsamente salariata dei ciuchini che, in Cina come in Occidente, lavorano a morte dietro le quinte.

Invece nel presunto potere del Campo dei miracoli di moltiplicare le monete d’oro è quasi impossibile non cogliere l’allegoria del grande inganno della finanza contemporanea che alimenta la crisi globale. Menzogne sistemiche che, smascherate individualmente in personaggi come Bernard Madoff, continuano a moltiplicarsi dietro il proliferare di quei prodotti derivati a proposito dei quali Guido Rossi parlava esplicitamente del trionfo di un’etica paradossale del furto e della frode. Perché le bugie degli individui, per cui si stracciano le vesti i moralisti, accadono sempre dentro la grande cornice di quelle bugie collettive che sono le ideologie e che prosperano, come nel mondo contemporaneo, proprio quando, a differenza del naso di Pinocchio, non le vediamo e, quindi, crediamo che non ci siano.

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