pilotesse aerei donna
(S. Matison, Us Air Force)
Difesa e Aerospazio

Il gender arriva anche sugli aerei: ecco le «pilotesse»

L'ondata gender-neutral colpisce anche l'aviazione. Eppure se c'era un comparto nel quale donne e uomini erano finora stati equiparati senza scandali eclatanti, con comandanti, piloti, assistenti di volo, tecnici e ingegneri donne, era proprio quello aerospaziale. Pochi forse ricordano che dietro i successi dei fratelli Wright ci fu il grande lavoro della sorella Swes, e molti pare abbiano dimenticato che il futurismo e l'emancipazione femminile andarono a braccetto, con le donne grandi protagoniste delle imprese aviatorie fin dagli albori del volo.

Tutti ricordano la trasvolatrice americana Amelia Earhart, meno forse l'italiana Carina Massone Negrone (1911-1991), detentrice di undici record mondiali e dominatrice delle gare aeree dal 1930 al 1960. Eppure non pare abbastanza, così dagli Usa arriva la notizia che il Comitato consultivo della Federal Aviation Administration (l'autorità aeronautica statunitense), ha raccomandato questa settimana all'agenzia stessa di sostituire parole e frasi come "pilot" (pilota) e "airmanship" (letteralmente aeronauticità) con termini neutri rispetto al genere come "equipaggio di volo" e "capacità aeronautica" come parte di uno sforzo per impostare un tono più inclusivo tra i generi.

Le raccomandazioni fanno in realtà parte di un rapporto pubblicato mercoledì scorso per aggiornare il linguaggio utilizzato nell'industria dei droni, ma con la speranza che anche il mondo dell'aviazione tradizionale potesse adottarne i termini. Secondo il rapporto il linguaggio aggiornato aiuterebbe a ridurre i pregiudizi intenzionali o non intenzionali riflettendo il riconoscimento più moderno che il genere possa essere non binario. La cosa curiosa è che proprio gli americani hanno sempre considerato femminile il termine aeroplano, si ricorda infatti che molti aeromobili e astronavi che hanno segnato la storia dell'aerospazio hanno avuto nomi di donna, dallo X-1 del primo volo supersonico, il "Glamorous Glennis", al B-29 che sganciò la bomba su Hiroshima, "Enola Gay" fino ad alcune capsule spaziali dei programmi Gemini, Mercury e Apollo. Dunque in attesa che anche qui in Europa scoppi la bagarre, con l'arrivo di termini quantomeno curiosi come "pilotessa" oppure "comandanta", la comunità aeronautica si interroga sull'assurdità di certe azioni, e anche chi scrive si è posto un problema: d'ora in avanti dovrò considerarmi un piloto?

Più seriamente, diverse le associazioni piloti americane hanno osservato come sarebbe meglio che la Faa lavorasse per risolvere la carenza di piloti che sta affliggendo la ripresa post pandemia, augurandosi di riempire quelle posizioni anche con donne altamente qualificate. Naturalmente sui social network si sta scatenando la polemica e una grande quantità di commenti sottolinea come queste cose non facciano altro che sminuire le donne e che sia triste, finanche tragicomico, pensare che alcune donne debbano ricorrere all'identificazione di semplici parole considerandole come ostacoli, quando nel corso della storia, in questo caso dell'aviazione, hanno dimostrato di saper lavorare e combattere come e meglio degli uomini. Accadde con le emuli di Rosie the riveter, il celebre poster d'epoca bellica con l'operaia che mostrava i muscoli simboleggiando lo sforzo industriale bellico, oppure con le Streghe della notte russe durante la Seconda Guerra mondiale (la storia di Lidija Vladimirovna Litvjak, la Strega di Orèl incubo dei piloti tedeschi), oppure le Wasp, ventenni americane che pilotavano i bombardieri tra gli usa e il Regno Unito negli stessi anni. Anche quelle erano "soltanto" donne, certamente con la D maiuscola. Perché non avevano bisogno di nuove parole.

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