Perché Europa e Russia non vogliono più Google

È arrivato il conto del Datagate. Se la diatriba Spagna-Google è tutta basata sulle intricate questioni sul diritto d’autore e la libera diffusione dei contenuti sul web, quella di Mosca è figlia delle pratiche di spionaggio incontrollate della NSA. Putin lo aveva detto: “Gli USA spieghino in che modo spiano i politici e i cittadini europei e con quali finalità”. Obama prima si era tirato indietro poi aveva ammesso lo sconfinamento della National Security Agency, promettendo che mai più i leader amici del vecchio continente sarebbero stati oggetto della morbosa curiosità dell’agenzia nazionale a stelle e strisce.

Non contento, il leader russo aveva accolto Edward Snowden, goccia traboccante del vaso di Pandora federale, all’interno dei suoi confini, assicurandoli protezione in cambio di una continua diffusione dei documenti sottratti durante gli anni di lavoro presso diverse sedi della NSA come appaltatore della Booz Allen Hamilton. Da Bruxelles intanto arrivavano voci di una possibile legge mirata a limitare il potere investigativo della NSA in Europa e soprattutto della sua controparte britannica, la GCHQ, i cui legami con la sorella maggiore statunitense sono stati individuati più di una volta all’interno dei file di Snowden.

Vista l’impasse dell’Unione Europea a più di un anno di distanza dal Datagate, la Russia ha deciso di proseguire anche stavolta da sola, promulgando una legge dai toni nazionalisti, ma che dovrebbe consentire un maggiore controllo sulle informazioni digitali in entrata e uscita dal paese, come spiega il Guardian. Una nuova legge approvata dalla Federazione chiede infatti che le aziende tecnologiche che operano all’interno dei confini nazionali, e che gestiscono dati dei cittadini russi, provvedano ad immagazzinare tali informazioni all’interno di server localizzati in Russia e non più all’estero come succedeva finora.

Una decisione che è la diretta conseguenza della notizia secondo cui la NSA riusciva a spiare i navigatori del web (anche russi) semplicemente “violando” i server dei big di internet, localizzati per lo più negli Stati Uniti. In questo modo la Russia sceglie di eliminare il problema alla fonte, decidendo di controllare a livello statale chi può avere accesso alle informazioni digitali dei suoi cittadini, preservandole dagli occhi indiscreti delle spie americane e britanniche.

Si tratta di una norma che permetterà al governo di operare su un doppio fronte, almeno a livello tecnico. Prima di tutto le aziende nazionali hi-tech si avvantaggeranno nei confronti dei competitor stranieri. È il caso di Yandex, il motore di ricerca che detiene circa i due terzi del mercato delle ricerche online nel paese. Con questa mossa i brand che operano con dati sensibili e che hanno già server in Russia per la gestione delle informazioni, non dovranno modificare i loro piani, visto che soddisfano già i requisiti richiesti dalla nuova legge.

Il secondo punto è la silenziosa, ma netta, presa di posizione della Russia nei confronti di chi vuole fare business con i dati dei suoi cittadini. Non solo Google ma anche altre compagnie tecnologiche potrebbero essere costrette ad utilizzare server locali per continuare a lavorare con il pubblico, davvero ampio, che ricade sotto la legislazione di Mosca. L’altra chance sarebbe chiudere baracca e trasferire i propri lavoratori in altre sedi, staccando la spina ai servizi offerti sul territorio. Proprio quello che pare stia facendo Google, che ha già affermato come i lavoratori, per lo più tecnici, stanziati in Russia, verranno trasferiti altrove. Una risposta che sa di resa. 

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